giovedì 3 maggio 2012

Comunicato Acli

Sondaggio Ipr Marketing per il 24° Congresso nazionale delle Acli

ITALIANI: “USCIREMO DALLA CRISI, MA SAREMO PIU’ POVERI”

Il lavoro sarà il primo segnale di ripresa. Riforme per cambiare il Paese (51%) o la “rivoluzione” (32%)

Olivero: «Risanamento non basta. Offrire un progetto credibile di sviluppo. Per allontanare pericolo antipolitica»


Roma, 2 maggio 2012L’Italia uscirà dalla crisi entro i prossimi 3 anni, ma in condizioni peggiori di prima. Il primo segnale della ripresa sarà la diminuzione della disoccupazione. Tra 10 anni saremo però più poveri. Per cambiare il Paese ci vorrebbero le riforme, o la “rivoluzione”.

Sono i risultati di un sondaggio tra gli italiani realizzato per le Acli da Ipr Marketing, in collaborazione con Iref (l’istituto di ricerca delle Acli) – “Come e quando usciremo dalla crisi economica?” – diffuso alla vigilia del 24° Congresso nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani.

L’appuntamento delle Acli, che aprirà domani pomeriggio a Roma (allo Sheraton Golf Parco de’ Medici), è dedicato al tema “Rigenerare comunità per ricostruire il Paese”, e vedrà intervenire tra gli altri il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, e il segretario generale della Conferenza episcopale italiana mons. Mariano Crociata.

100 euro per andare in crisi

“Quanto peserebbe sul bilancio mensile della sua famiglia un spesa imprevista di cento euro?” è la prima domanda rivolta ad un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. Per sei italiani su dieci (60,2%) peserebbe molto o abbastanza. Più preoccupati di fronte a una spesa fuori budget sono i cittadini del Sud (70,9%), le donne (68,7%) e gli under 35 anni (62,7%).

La crisi? E’ iniziata nel 2010

Quasi la metà degli intervistati (47,5%) ha iniziato a percepire in concreto nella vita quotidiana gli effetti della crisi economica tra il 2010 e il 2011. Il 14,8% del campione era già in una situazione di sofferenza economica prima del 2008. La grande maggioranza degli italiani (72,4%) non riesce a leggere in questa crisi un’occasione di progresso o cambiamento.

Il futuro? Preoccupazione e insicurezza

Preoccupazione (27,45), insicurezza (17,3%) e pessimismo (12,4%) sono i sentimenti dominanti quando si pensa al futuro. La speranza precede il pessimismo tra gli uomini over 54enni, i laureati e i cattolici praticanti.

Giustizia e onestà prima di tutto

Per uscire dalla crisi sociale ed economica del paese, secondo gli italiani non si può non puntare su una maggiore equità (24,9%) e moralità (22,8%) generale da un lato e dall’altro occorre far leva sulla competenza (18,5%) delle classi dirigenti e sull’innovazione (12,7%).

La crisi la devono pagare “i più ricchi” (74,8%)

La richiesta di una maggiore equità sociale emerge anche in relazione all’opinione degli italiani su chi deve pagare la crisi. Il 74,8%, del campione, infatti, ritiene che siano i cittadini più facoltosi a dover sopportare il carico maggiore della crisi. Opinione, questa, diffusa in maniera trasversale e con la stessa intensità in tutti i segmenti socio-demografici della popolazione.

Un leader giovane e competente

Chi ci toglierà dalla crisi? Non importa che sia uomo o donna (25%) o sposato (14%) o cattolico (9%); men che meno che sia capo di un partito (6%): il leader futuro sarà giovane (53%) e con competenze professionali all’altezza delle sfide attuali; sarà laureato per il 49% degli intervistati, una persona esperta, se necessario docente universitario (37%).

Sul fronte degli interventi da effettuare, per  la grande maggioranza degli italiani, la persona che ci toglierà dalla crisi dovrà occuparsi prima delle famiglie e poi dei conti dello Stato (75%) e tenere conto delle indicazioni delle istituzioni internazionali (56%). Questa leadership competente è dunque consapevole dei problemi di equità interna che contraddistinguono l’attuale panorama italiano, ma è altresì consapevole della fitta rete di relazioni e di scambi di cui l’Italia è partecipe.

Cambiare il Paese, tra riforme e “rivoluzione”

Cosa occorre per cambiare il nostro Paese? Per la maggioranza degli intervistati (50,9%) la strada da seguire è quella riformista, con interventi graduali e condivisi (35,7%) ma anche impopolari (14,6%). I più propensi a una via riformista sono gli uomini, gli over 54enni, e i cattolici praticanti.

Ma la crisi porta con sé anche atteggiamenti radicali: quasi un terzo del campione (32,%) vede la “rivoluzione” come unico mezzo per trasformare l’Italia (32%). Per il 17,2% degli intervistati “questo Paese non cambierà mai”. Un segnale che non va affatto trascurato ed è figlio probabilmente di quella sfiducia nei partiti e di quel sentimento di antipolitica che sta montando in questi ultimi anni.

Il lavoro come primo segnale della ripresa

Per gli italiani i segnali più evidenti che il Paese starà uscendo dalla crisi saranno l’aumento dei posti di lavoro (26,3%) e la conseguente ripresa dei consumi (19,8%). Opinione questa condivisa in maniera trasversale da tutta le fasce di popolazione intervistate.

La crisi finirà entro 3 anni

Gli italiani sono moderatamente ottimisti sui tempi di uscita dalla crisi del nostro paese. La maggioranza (51,3%) intravede la fine del tunnel entro i prossimi 3 anni. Il 37,7% ritiene, invece, che i tempi siano più dilatati e che sì, si uscirà dalla crisi. ma non prima di 4-10 anni. In ogni caso, solo il 10,9% è scoraggiato al punto da ritenere che l’attuale situazione sia senza ritorno.

Più poveri tra 10 anni

Usciremo dalla crisi, ma come?  Il 40,2% degli italiani pensa che l’Italia uscirà dalla crisi in condizioni peggiori di prima. Per il 30,5% ,invece , l’Italia si riprenderà come prima della crisi. Quasi un terzo degli italiani, però, vede un futuro migliore quando la crisi sarà passata. Si tratta soprattutto di uomini (34,5%), di persone oltre i 54 anni (32%) e residenti nel Sud (33%).

Proiettandosi nel futuro, il 44,7% degli intervistati si immagina più povero tra 10 anni, a fronte del 19,1% che invece confida su un miglioramento della propria condizione.  Emerge una forte divaricazione tra giovani e laureati da un lato - che in misura maggiore si mostrano più ottimisti verso il futuro - e anziani e persone con titolo di studio non elevato dall’altro tra i quali regna in misura maggiore scoramento e sfiducia.

Per il presidente delle Acli, Andrea Olivero, che domani aprirà il Congresso dell’associazione: «il Paese ha bisogno di ripartire ricostruendo il rapporto di fiducia con i cittadini e rianimando il sentimento di speranza, offrendo un modello e un progetto credibile di sviluppo. Il risanamento dei conti non basta. Gli italiani mostrano di aver ben chiare le priorità: lavoro, giustizia e onestà. La strada da percorrere è quella delle riforme, per cambiare in meglio questo Paese, senza lasciare altro pericoloso spazio ad astensionismo e antipolitica».

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