martedì 31 marzo 2009

La bici per andare al lavoro

Mi è capitato qualche volta di evidenziare l'astrattezza di alcune battaglie della Fiab. C'è un eccezione, però, riguardante la tutela dell'infortunio in bici nei percorsi casa-lavoro (ossia in itinere), introdotta con l'art. 12 del Decreto Legislativo n. 38 del 2000. La notizia è che la giunta regionale della Puglia, su proposta dell'Assessore ai Trasporti Mario Loizzo, ha approvato la delibera n. 466 del 24 marzo 2009 a sostegno della petizione promossa dall'associazione per chiedere che venga riconosciuto il diritto all'infortunio anche a chi si reca al lavoro in bici.
Cosa dice l'art. 12? Abbiate pazienza, lo riporto integralmente.

"Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.".

Nel decreto, non c'è nessuna menzione del tipo di mezzo utilizzato. La definizione "normale percorso" implica l'uso di mezzi di trasporto comuni: a piedi o con i mezzi pubblici. L'uso di mezzi privati deve essere giustificato dall'assenza di mezzi pubblici o dalla mancanza dei suddetti negli orari in cui il soggetto si reca al lavoro.
Va sottolineato che andare a piedi vuol dire utilizzare un mezzo di trasporto privato, o naturale, non so come vogliamo definirlo, comunque un mezzo di trasporto a cui la bicicletta assomiglia molto, certo più di un suv o di un deltaplano.

Faccio il mio esempio, solo perché lo conosco bene. Per andare al lavoro con i mezzi pubblici, l'Atac mi consiglia un itinerario (teorico) di 65 minuti, che comprende vari autobus e treni, e una sorta di giro panoramico della Capitale: per andare da Monte Mario al Labaro devo passare per Piazzale Flaminio! Ergo, forse avrei diritto a utilizzare l'auto, per il decreto n.38/2000. Non ne sono neanche sicuro. Forse la legge prescrive che, se voglio essere tutelato nei miei spostamenti, io mi debba sobbarcare ogni giorno un viaggio di 130 minuti, sempre teorici, che con l'aggiunta del traffico e delle perdute coincidenze renderebbero impossibile l'esistenza a chiunque. Quindi, senza esserne sicuro, potrei aspirare a rientrare nei diritti sanciti dal decreto anche usando l'auto. Non ne sono sicuro. Invece quasi sempre vado al lavoro in bici: impiego più o meno lo stesso tempo che impiego in auto quando non c'è il traffico. Ne traggo beneficio fisico e mentale.
Non è che con questo ostracismo nei confronti della bici stiamo toccando uno dei nervi scoperti delle attuali concezioni sulla mobilità, imposte dalle aziende automobilistiche e dalle società petrolifere, fin da quando gattonando giocavamo con le macchinine? Non sarebbe ora di ridefinire le nostre concezioni a favore degli utenti deboli della strada che oggi non riescono ad attraversare sulle strisce pedonali e le auto suonano impazzite e si tamponano quando uno si ferma per farle passare?

lunedì 30 marzo 2009

Infermieri a pedali, meglio tardi...

Nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli sottosviluppati (per altri motivi), è normale vedere poliziotti, infermieri, vigili, controllori in bicicletta. L'anno scorso a Roma hanno iniziato a provare la polizia in bici. A Roma, a partire da maggio, si comincerà a sperimentare gli infermieri in bici, cinque squadre di due persone ciascuna che presteranno soccorso prima dell'arrivo dell'ambulanza. La notizia è uscita su Repubblica. Le squadre saranno impiegate nelle strade del Tridente (via del Corso, via del Babuino, via di Ripetta) e a Villa Borghese. In dotazione a ciascuna squadra un defibrillatore portatile. A Londra, dove sono in servizio anche infermieri su skateboard, queste squadre hanno contribuito a ridurre del 25% le morti per infarto. Da qui si comprende meglio l'importanza di tutelare il traffico ciclistico, in una città in cui spesso si vedono le ambulanze bloccate dal traffico (lo vedo quotidianamente per i mezzi diretti al San Filippo Neri).

venerdì 27 marzo 2009

Single speed, nuova versione

Ho modificato la single-speed che avevo realizzato tempo fa, a partire da un telaio trovato in un parcheggio. Ho messo una guarnitura da 46, con cui riesco a inerpicarmi decorosamente sulla collina di Monte Mario. E poi c'è il manubrio, trovato in ciclofficina e ricavato da una bici che stava ad arrugginire in un campo: ma il manubrio è un Itm d'alluminio ed è in buone condizioni. Ho cambiato la sella, la bici va che è una meraviglia




giovedì 26 marzo 2009

Mirabile sintesi

Ho scoperto con sorpresa la bella bandiera del Partito Comunista Giapponese. Mi sembra una buona sintesi delle attività ciclistiche e potrebbe sventolare tranquillamente sul portapacchi della mia vecchia mtb. C'è un pignone, o almeno io lo identifico come tale, c'è il grano (o qualcosa del genere, comunque roba che si mangia) che serve a pedalare. È la trazione animale di cui noi andiamo fieri, specialmente quando si sorpassano le auto intasate (300 ore all'anno a Roma). E, infine, la bandiera rossa, che nacque durante la Comune di Parigi: spero che nessuno provi strani pruriti per questo. Inoltre il rosso ha il vantaggio di rendere più visibili, anche se ormai la gente gira in auto con il cellulare in una mano, la sigaretta nell'altra, invocando una terza mano per ravanarsi l'inguine. Ecco la bandiera del PCG, qui tutta per voi, sperando che vi piaccia.

martedì 24 marzo 2009

Di chi è la bici? / 5

Di chi è la bici? Non è di nessuno, perché è di tutti.


Bici e pubblicità: un’accoppiata irresistibile
Simbolo e veicolo di libertà, la bicicletta si presta bene a far pedalare anche la comunicazione pubblicitaria, nei più disparati settori. Infatti, nonostante l’esiguo numero dei ciclisti praticanti, colpisce la frequenza con cui il mondo pubblicitario utilizza l’immagine della bici per promuovere i prodotti più disparati. Nell’immaginario collettivo, quindi, l’idea astratta della bicicletta – privata della fatica, anche quella mentale che si richiede all’inizio per cambiar abitudine – sembra prevalere sull’uso che effettivamente se ne fa come mezzo di locomozione quotidiano. In altre parole, si attribuiscono alla bici qualità immaginali e simboliche che forse vanno a pescare nella nostra infanzia, in desideri inattuati e speranze di dimagrimento e salubrità, forse di vita eterna, per promuovere tutt’altro prodotto, a volte persino un’automobile.
Faccio un esempio: le scarpe Melluso Walk. All’interno di una sagoma di scarpa, un cicloturista percorre un tratto erboso (L’Espresso, 9 ottobre 2008). Che l’idea di libertà venga associata alla bici è abbastanza naturale. Il fatto di poter pedalare dove ti pare è la prima manifestazione di quella possibilità di scelta che ti viene data da bambino. In molti di noi, rimane stampato nella coscienza il ricordo di quando imparammo ad andare in bici senza rotelle, prima e autentica festa di iniziazione.
Con il succedersi delle generazioni, l’idea della bici “libera” sembra reggere, nonostante tutto. Ma su di essa si accaniscono le rapaci mani dei pubblicitari, delle griffe, e anche di coloro che rivendicano marchi di qualità per questo mezzo di trasporto, alla ricerca di standard aggiuntivi che in definitiva facciano lievitare i prezzi.
La bicicletta per i pubblicitari è un po’ come le donne nude: va bene per tutto. Fiutata l’aria, la bici è stata piegata ai più oscuri desideri degli stilisti. Bici griffate hanno prodotto, fra gli altri, Trussardi, Armani, Chanel e Gucci, ovviamente con prezzi esorbitanti e materialmente ingiustificati. A essere venduto è il marchio: nessuno produce le bici che vende, si tratta solo di apporre l’etichetta a prodotti di discreta, forse anche buona, qualità, ma altrove in vendita a prezzi decisamente inferiori.
Un altro aspetto abbastanza inquietante di questo branding posticcio è l’imposizione di marchi automobilistici o motociclistici alle biciclette. La bici si tramuta, paradossalmente, nel veicolo ideale per proporre l’acquisto di automobili. La pubblicità di automobili, come sappiamo, è una grancassa che rintrona i telespettatori dalla mattina alla sera e costituisce un’enorme fetta del mercato, peraltro perennemente a corto di idee; si tratta, visibilmente, di un settore in forte crisi di identità, di fronte al nefasto ruolo del prodotto pubblicizzato nella strage annuale di pedoni e passeggeri, nei morti e feriti per inquinamento, nelle guerre per il petrolio, nelle crisi finanziarie procurate dalle speculazioni dell’industria petrolifera, nello sviluppo di patologie cardiocircolatorie, del diabete, nei bilanci familiari, ecc. «La libertà di andare dove si vuole», rivendicata una volta, in un anniversario della Fiat, da Gianni Agnelli come la vera conquista dell’auto popolare, è da tempo passata in secondo piano di fronte ai cronici intasamenti metropolitani e alle code estenuanti dei week end. Non si va più da nessuna parte, o ci si va a caro prezzo.
Abbandonata l’idea di proporre l’auto come rumorosa e potente appendice delle proprie limitate capacità individuali, secondo la vecchia scuola, nel giro di pochi anni, i pubblicitari hanno reinventato un mondo virtuale fatto di auto silenziosissime, non inquinanti, che scivolano su deserti, montagne, praterie, scogliere e su strade totalmente vuote, prive di persone e di altri mezzi, auto che volano, vanno a vela, ecc.; insomma, un mondo puramente immaginario di cui l’auto è la chiave d’accesso. In questo contesto, nasce l’idea dell’auto ecologica, che non inquina, che ti fa sentire a posto con la coscienza, che è quasi una bicicletta, ma senza la fatica di pedalare. Non a caso, la lista delle apparizioni della bici nella pubblicità delle automobili è diventata piuttosto lunga; si va dalla auto con portabici estraibile (Opel Corsa), all’iniziativa di un’auto più una bici in regalo. In una pubblicità della Wolkswagen, apparsa nel 2005 sui periodici italiani (l’abbiamo rintracciata su un numero di National Geographic Italia, agosto 2005) figura sulla destra un bambino che guarda la sua bici e dice “Alzati, sellino!”, mentre a sinistra campeggia il modello Passat “con sedili a 12 regolazioni elettriche, senza scatti in verticale e in orizzontale” […]. “Nuova Passat. Facile abituarsi al lusso”. Inutile commentare. Lusso, comodità e tanti buoni propositi ideali. In altri contesti, e in nome della stessa visione purificata dell’auto, la bici emerge come suo completamento. Nel 2008, la Mercedes Benz di Roma ha offerto una bici gratis a coloro che avrebbero acquistato un’auto nella settimana tra il 7 e il 12 luglio. La bici è denominata Mercedes-Benz Fitness Bike; un autentico gioiello di tecnologia, sta scritto nella réclame. Interessante anche la pubblicità televisiva dell’automobile Smart, vista il 3 ottobre 2008 su Raitre: una Smart si alterna nelle immagini a un inconfondibile ciclista urbano che pedala energicamente in una città tecnologica e, come sempre, molto astratta.
Anche la bici firmata da Pininfarina, una mountain bike verde e grigia di cui non a caso è piena l’Italia, è nata in qualche modo dalle automobili, essendo stata distribuita con la raccolta punti della benzina Esso. Ogni tanto capita di vederne una in vendita a prezzi spropositati su Ebay (fino a 200 euro).
Tornando a parlare di marchi e status symbol, un discorso a parte meritano le bici di lusso; è il caso delle biciclette siciliane Montante, un marchio storico recuperato recentemente. Si tratta di bici di qualità vendute a oltre 2000 euro: “un oggetto prestigioso per le tue passeggiate al mare o in campagna”, potrebbe essere l’asettica didascalia di questi oggetti, da collocare al fianco di orologi e penne stilografiche. Ai fini del discorso che ci interessa questo tipo di operazioni e il ciclismo sportivo si equivalgono, ossia non c’entrano nulla con la promozione della bicicletta in città.
Sono frequentissime, peraltro, le operazioni commerciali legate alla bici. In una recente proposta, la banca Intesa Sanpaolo ha lanciato per i suoi dipendenti l’iniziativa “Bicinbanca”; una proposta d’acquisto per una bici “appositamente realizzata” per il gruppo bancario. Si legge nel comunicato del 10 novembre 2008: «A pochi mesi dalla creazione di una flotta sperimentale con 130 biciclette aziendali, i dati di utilizzo (oltre 130 utilizzi nell’ultima settimana) confermano la crescente diffusione del mezzo sia per esigenze di servizio che per il tempo libero, anche al di fuori della bella stagione, con benefici in termini di riduzione emissioni». L’idea della banca è stata quella di offrire ai dipendenti la possibilità di acquistare una bici dalle “medesime caratteristiche e design”; la bici è offerta nelle versioni per uomo e per donna, ed è personalizzabile con vari accessori. Nonostante i molto sommari riferimenti ai benefici effetti della bici sull’ambiente, l’iniziativa sarebbe lodevole e in linea con le recenti tendenze aziendali rivolte alla promozione della mobilità alternativa ; però, dando uno sguardo al prezzo della bici, sorge qualche dubbio, con quei 388 euro, iva e trasporto inclusi, non molto incentivanti. Il prezzo potrà forse essere anche quello giusto, anche se ci è ignoto il fabbricante del mezzo, ma se si vuole davvero pedalare, come vedremo, si può spendere molto meno, con un minimo di iniziativa personale.
Il turbinìo di marchi, appropriazioni indebite e operazioni commerciali, attorno a un mezzo plasmato da inventori più o meno oscuri, finisce per far pensare allo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali: «Non esiste nessuna risorsa naturale che non si trasformi in un marchio». Anche un mezzo che da decenni funziona a meraviglia viene piegato alle più strane esigenze del mercato.
Tornando all’aspetto immaginativo che circonda la bici, va notato che diversi progettisti si sono buttati a capofitto nel disegno di nuovi prototipi, incuranti del fatto che è molto difficile inventarsi qualcosa di nuovo in questo campo. Da decenni si lavora sul peso e la resistenza dei singoli componenti, mentre le forme del telaio sono più stabili. Eppure, di frequente, su giornali e riviste appare a mo’ di curiosita l’immagine di qualche nuovo progetto di due ruote; è il caso del prototipo di bici avveniristica realizzato da Alberto Del Biondi, con ruote con cerchi perimetrale e priva di cavi a vista, in carbonio e nivacrom, una lega d’acciaio leggera, oppure gli straordinari modelli progettati negli anni da Mike Burrows.
D’altra parte, essendo un mezzo meccanicamente perfetto (si veda il brano di Ivan Illich), è frequente anche il reimpiego o la riesumazione di vecchie tecnologie su mezzi nuovi; comunque, è senz’altro un fatto positivo che la bicicletta continui a far lavorare l’immaginazione di molte persone.
Quanto detto non significa ridimensionare l’importanza delle più disparate attività per la promozione della bici. Si arriva a scoprire un’insospettabile saggezza nei luoghi più impensabili. Ma, ancora una volta, l’ingrediente fondamentale, che fa la differenza, è la conoscenza concreta della bici come mezzo di locomozione.
In questo senso, un esempio totalmente insapettato ci viene dalla lettura di First, supplemento di “lusso” di Panorama, del 23 maggio 2008, contenente un’intervista ad Agostino Poletto di Carla Brazzoli. Poletto è il vicedirettore generale di Pitti: l’edizione 2008 di Pittiuomo si intitola “Freecycle/Freemobility”, e la bici fa da filo rosso a tutta la manifestazione. Insospettabilmente, Poletto conosce a fondo l’argomento, essendo ciclista. Ebbene, su una rivista patinata, che propone merci costosissime per pubblici ristretti e frustrati, emerge un quadro che più chiaro non potrebbe essere. Afferma Poletto: «[La bici] è il fenomeno emergente. […] Non è più concepita come un semplice strumento di locomozione, ma sta diventando un simbolo di estetica quotidiana riconosciuto da una tribù globale». Poletto prosegue citando il Bike Film Festival (rassegna mondiale di film dedicati alla bici, che si può vedere anche a Milano e a Roma), la Critical mass, le ciclofficine, i messengers, i PediCab (taxi a pedali londinesi) e il bike sharing. Poletto parla come un ciclista urbano responsabile più che come responsabile di una kermesse che usa la bici per farsi bella: una cosa non esclude l’altra, ovviamente.
Le ragioni del successo in Francia del bike sharing risiedono non tanto nel fatto che si sono messe a disposizione 20 mila bici, creando dei percorsi, prosegue Poletto, quanto piuttosto che si “è cercato di far convivere le bici in un’organizzazione stradale che contemplasse gli altri mezzi. Auto, moto e bici devono condividere gli spazi urbani […]. Eppoi la frase illuminante, che esprime concetti ancora non pienamente compresi neanche da alcune associazioni di ciclisti. «Bisogna superare l’idea che si possa sviluppare il progetto della mobilità a pedali soltanto con le piste ciclabili. Anche perché spesso di difficile realizzazione: la gran parte delle nostre città è di medie dimensioni e con centri storici intoccabili. Penserei quindi più a un progetto integrato che a un progetto dedicato, come potrebbe essere la ciclabile appunto».

lunedì 23 marzo 2009

Di chi è la bici? / 4

Di chi è la bici. È di tutti, perché non è di nessuno.

A Roma ci sono i sette colli, come fai ad andare in bici?
È una delle affermazioni che si sente ripetere più spesso quando si parla di mobilità ciclistica nella Capitale. A parte le scuse addotte individualmente, ciò che colpisce a Roma è la lentezza delle iniziative a livello istituzionale. Nel giugno 2008 è stato inaugurato il sistema del bike sharing, con 200 bici dislocate in 19 posteggi; si tratta di un sistema già collaudato in diverse città europee, come Madrid, Barcellona e Parigi. L’azienda spagnola Cemusa ha fornito gratuitamente i mezzi per attuare questo progetto pilota. Adesso si va verso il blocco di questa iniziativa. Non sono mancate neanche le lamentele su come l’iniziativa è partita. L’utente deve compilare un modulo, versare 30 euro di cauzione e riceve un lucchetto e una tessera magnetica. Le biciclette sono collocate presso alcune colonnine, dove possono essere prelevate e riconsegnate dalle 7 alle 23; è necessario riconsegnarle presso le colonnine stesse, disposte nel centro della città. Se, per esempio, intendo utilizzare la bici per andare al lavoro, dovrò per forza lasciarla presso una delle colonnine abilitate e poi effettuare a piedi o in autobus il tratto di strada che rimane. E viceversa. Il bike sharing è un sistema che, nella Capitale, può dare qualche risultato solo per rapidi spostamenti nel centro della città, qualora non siano previste fermate troppo lunghe. Infatti l’uso delle bici è gratuito per la prima mezz’ora, la seconda mezz’ora costa 1 euro, la terza 2 e poi 4 euro per ogni mezz’ora successiva. Al contrario, sarebbe necessario dare ai cittadini la possibilità di compiere lunghi tratti in bici gratis. Nonostante le promesse a favore della mobilità sostenibile, rinnovate dalla nuova giunta di destra, di “corridoi della mobilità con particolare attenzione alle due ruote” (parole dell’Assessore alla mobilità del Comune di Roma, Sergio Marchi, all’inaugurazione del bike sharing pilota), a Roma si continuano a inaugurare strade larghe e prive di pista ciclabile, strade che assomigliano ad autostrade. È il caso della via Trionfale bis, priva di marciapiedi e finanche fermate dell’autobus. Strade che, con il loro aspetto e la velocità raggiunta dalle auto e dai mezzi pesanti, scoraggiamo ampiamente la maggioranza della popolazione all’uso delle due ruote. Lo stesso dicasi per le rotatorie, ora tanto in voga nei comuni italiani, costruite per ridurre gli incidenti agli incroci, ma molto pericolose, quando non impossibili, per la circolazione ciclistica.

venerdì 20 marzo 2009

Di chi è la bici? / 3

Di chi è la bici? Non è di nessuno, perché è di tutti


La bicicletta in città
In molte città italiane la bici è ancora oggi, tradizionalmente, il mezzo di trasporto prediletto per gli spostamenti medio-brevi; basti pensare a Firenze, Bologna, Mantova, Ferrara, Parma, Ravenna, Reggio Emilia, Bolzano, Brescia (la sensazione è di aver così esaurito le città italiane ciclisticamente virtuose). Nelle metropoli, invece, a scegliere la bici sono ancora in pochi. Eppure, gradualmente, anche a Milano, Roma, Torino, Palermo, sono molti, spossati dal traffico, dai parcheggi a pagamento e dall’aumento del prezzo dei carburanti, a decidere di attrezzarsi e usare la bici non solo per diletto, ma anche per gli spostamenti quotidiani. Altri desistono, giustificandosi in vari modi, affermando che è troppo pericoloso, che si suda, che c’è troppo smog, che non si sa come cambiarsi una volta giunti a destinazione, ecc.: la lista di motivazioni di chi adduce scuse per il fatto di non usare la bici, in particolare rivolgendosi ai ciclisti, dopo averli elogiati per la loro intraprendenza, è lunga quasi quanto quella degli aspiranti ciclisti urbani. Dal punto di vista tecnico, usare la bici in città è semplice, basta abituarsi a muoversi nel traffico in un altro modo, che non è né quello dell’auto né quello delle moto. Il problema è un altro e riguarda le politiche di supporto a questo tipo di decisione individuale. Il quadro legislativo, infatti, è quantomai vago e le numerose deleghe dello Stato alle Regioni, delle Regioni ai Comuni, e dei Comuni ai Municipi rischia di far disperdere una progettualità organica e centralizzata, che deriva in gran parte da sollecitazioni europee, in mille iniziative locali prive di collegamento. Basta vedere come è stata applicata la più che decennale legge 19 ottobre 1998, n. 366, dedicata alla “Norme di finanziamento della mobilità ciclistica”. Si parte con una delega alle Regioni che hanno il compito di distribuire le risorse fra gli enti locali. Basta scorrere la lista degli interventi previsti dalla legge per comprendere quanto poco si è fatto per applicarla: piste ciclabili e ciclopedonali; parcheggi attrezzati; segnaletica luminosa per il traffico ciclistico; infrastrutture per sviluppare l’intermodalità (per es. bici + treno); redazione di cartografia specializzata; conferenze e attività culturali; realizzazione di itinerari ciclabili turistici; realizzazione di intese con le aziende per integrare la bici al trasporto pubblico locale; e, infine, “ogni ulteriore intervento finalizzato allo sviluppo e alla sicurezza del traffico ciclistico”. La delega alle Regioni si è tramutata in una serie di leggi regionali. Quella del Lazio, per esempio, è la n. 13 del 1990; fra l’altro, prescrive che nella progettazione di nuove strade comunali, vicinali e provinciali siano previste piste ciclabili: lettera morta, se si guarda alle strade realizzate nel Lazio negli ultimi dieci anni.
Se, a livello nazionale, l’uso della bici in città va ancora a rilento è certamente colpa del mancato sfruttamento delle possibilità offerte dalle leggi, ma è a livello individuale, però, che si compie il passo decisivo. Il fatto di muoversi in bici è soprattutto un fatto di cultura, che si basa sull’esempio degli altri, sulla condivisione delle esperienze e su un oggettivo risparmio di tempo, denaro, vantaggi per la salute, ecc. I fattori esclusivamente economici sembrano avere la priorità solo su categorie particolarmente disagiate, come studenti, immigrati precari, disoccupati, ecc. Infatti, neanche le recenti impennate del prezzo del barile di petrolio hanno sortito l’effetto sperato: si fa a meno del cinema, del ristorante, ma non della benzina. Eppure, lentamente, qualcosa si muove. È stato calcolato che dal 2000 e il 2007 gli spostamenti a pedali sono quasi raddoppiati (dall’1,6 al 3%, dati Isfort). Sempre secondo i dati Isfort, nel 2007 le persone che abitualmente hanno fatto uso della bicicletta erano il 13.5% della popolazione tra i 14 e gli 80 anni, mentre nel 2004 erano il 3,7%. Una crescita confortante, particolarmente in regioni come l’Emilia-Romagna (31,3% della popolazione in bici) e il Nord-Est, tra le altre cose culla dell’industria ciclistica nazionale (28,5%). In altri Paesi europei, in cui è molto diffuso l’uso delle due ruote, al punto da costituire una seria alternativa all’auto e ai mezzi pubblici a motore, si vive in una perenne Critical Mass (cfr. avanti), un volume di traffico su mezzi a pedali che i percorsi ciclabili non riescono a contenere e che impone anche al traffico a motore le sue regole. Se gli italiani percorrono ogni anno 168 Km in bici, i tedeschi ne fanno 1330 e gli olandesi 1000. A Berlino o Amsterdam, ma anche a Barcellona – che ha conosciuto negli ultimi anni una rapida trasformazione ciclistica, grazie alle infrastrutture realizzate dall’amministrazione comunale –, le centinaia di ciclisti che circolano in città fanno pensare che l’uso della bici sia soprattutto una questione di abitudini, su cui le politiche locali devono fare pressione, con piste ciclabili, incentivi fiscali, percorsi consigliati, limitazione della velocità; allo stesso tempo, è necessario rendere più difficili e costosi gli spostamenti con autovetture private, per il semplice fatto che chi circola in automobile inquina, è in vari modi pericoloso e produce un grave danno sociale sulla salute e anche sull’economia della collettività. In una logica del genere, l’uso dei Suv e di altri mezzi inutilmente ingombranti andrebbe vietato.
Se non è necessario spronare qualcuno all’uso della bici, quando questa fa parte delle tradizioni familiari e di abitudini condivise nei luoghi di lavoro e nella scuola, la battaglia per la nuova mobilità si combatte nelle grandi metropoli, in cui l’individuo è socialmente più isolato e in cui il conflitto prevale sul dialogo, finanche nella circolazione stradale. Tuttavia, i grandi Comuni italiani, assediati dall’inquinamento e incapaci di trovare rimedi soddisfacenti senza scontentare gli abitudinari votanti e consumatori di benzina, automobili, assicurazioni, pezzi di ricambio (quindi la schiacciante maggioranza della popolazione), non sembrano applicarsi molto per trovare un rimedio, a parte il rischio di pesanti sanzioni a livello europeo.
La bici, citata nelle leggi e tradita dalle istituzioni, è tirata in ballo ogniqualvolta si intende dare una patina ambientalista a un’iniziativa, anche la più lontana dalla quieta semplicità di questo mezzo di trasporto. Un caso significativo è il recente rifacimento degli ambienti di lavoro della casa automobilistica Ferrari, a Maranello. Impianti fotovoltaici, ampie vetrate e 100 biciclette a disposizione dei dipendenti. Gli amministratori locali non si comportano in maniera troppo differente: cercano di darsi un’immagine al passo con i tempi con qualche percorso ciclabile, a volte evocato, altre volte lentamente costruito.
In mancanza di una politica snella e rapida che trasformi la viabilità urbana e favorisca l’uso della bici, sembra che le istituzioni siano più propense a organizzare iniziative estemporanee che abbiano una discreta ricaduta d’immagine, piuttosto che impegnarsi seriamente. In certi casi, sembra che le poche associazioni ciclistiche assecondino questa tendenza, forse anche per il fatto di non possedere una forza tale da incidere nelle decisioni di amministrazioni comunali e provinciali, per non parlare di quelle regionali e statali. A livello istituzionale è un fiorire di iniziative, come il Mobility Day – che si affianca all’idea dei mobility manager aziendali –, la Settimana europea della mobilità sostenibile, ecc. Dal 15 al 19 aprile 2008, nei giorni del Salone del Mobile, nell’ambito della mostra GreenEnergy Design, si è svolto “Milano CiclAbile”, per promuovere la mobilità a pedali in città e, presumiamo, anche diversi modelli di bici superaccessoriata. Si tratta di tutte iniziative effimere, che a qualcuno potranno risultare interessanti, ma che incidono poco sulla media dei comportamenti.
Le piste ciclabili sembrano essere il recipiente entro il quale, a livello istituzionale, si riversa qualsiasi discorso relativo alla bici in città. In questo modo, non si cercano soluzioni alternative e meno costose. D’altronde, la richiesta di un maggior numero di piste ciclabili è anche la cantilena ricorrente delle principali associazioni cicloturistiche: ma i soldi non ci sono, ribattono i comuni, oppure sono pochi. Sarebbe bello, si dice, recuperare quel lungo tratto di ferrovia a scartamento ridotto, ma non ci sono i soldi… Non che le piste ciclabili siano inutili, beninteso. Ma la loro realizzazione resta sulla carta o procede molto a rilento. Lentamente, prendono forma sistemi di viabilità alternativa alla pista ciclabile, che da sola non basta a sviluppare e promuovere la mobilità a pedali in città grandi e piccole. A livello di quartiere, si è cominciato a fare qualcosa con le cosiddette zone a 30 Km/h, di solito strade secondarie in cui l’accesso alle auto non è vietato, ma il transito di pedoni, passeggini e biciclette viene agevolato dalla limitazione della velocità e da una serie di misure che favoriscono il rispetto di tale limite, quali dossi artificiali, vasi con piante, ecc. Si tratta di un modo molto economico per difendere i diritti delle persone più vulnerabili e dei mezzi di trasporto più “deboli”, ma limitare seriamente la velocità dà molto fastidio ai votanti, nonché consumatori di benzina. Inoltre, le zone a 30 Km/h si oppongono alle logiche delle nuove metropoli, fatte di centri commerciali di periferia e grandi arterie stradali a scorrimento veloce, con i loro ipocriti limiti di velocità, strade su cui alle bici la percorrenza è esplicitamente vietata o quasi impossibile. Queste zone a velocità limitata servirebbero anche a bilanciare l’effetto desertificante degli spartitraffico e dei sensi unici delle nuove, “fluidificanti” e scriteriate progettazioni urbanistiche, in modo da ricreare un equilibrio locale, basato su piccoli quartieri, ridando forza al territorio e alle economie locali del commercio minuto.
Da diversi decenni si fa esattamente l’opposto. Le politiche urbanistiche prevedono la costruzione di arterie stradali anche all’interno della città. Si tratta di uno dei maggiori ostacoli alla viabilità ciclistica. Queste grandi strade tagliano a fette la città. A causa della loro presenza, infatti, anche nelle vie limitrofe la circolazione è inibita alle biciclette, che devono compiere percorsi tortuosissimi, a causa dell’intramontabile mito della “fluidificazione del traffico”, un mito molto produttivo soprattutto per i padroni dell’asfalto e del cemento. No, le strade larghe non riducono il traffico, ma lo aumentano ; e poi, comunque, andrebbero allargate tutte le strade, non solo alcune.
Per promuovere la bicicletta come mezzo di trasporto urbano, un importante aspetto è quello dell’intermodalità, in particolare delle formule treno, o metropolitana, più bici. Nel primo caso si è fatto qualcosa in passato, ma non si è riusciti a sviluppare questo tema, forse adducendo la scusa che sono troppo pochi coloro che usano questa combinazione; nel secondo caso, siamo semplicemente all’ultimo posto in Europa, perché in Italia non è possibile, a nessuna ora, entrare in metropolitana con la bici.
Invece di investire nell’offerta di opportunità, le istituzioni aspettano che fiumi di ciclisti bussino alla porta con le loro esigenze. Intanto anche gli scooter restano bloccati nel traffico.

giovedì 19 marzo 2009

Di chi è la bici? / 2

Di chi è la bici? Non è di nessuno, perché è di tutti

Numeri
Prima di scandagliare ulteriormente le diverse motivazioni dei ciclisti e tutto quello che vi può ruotare intorno – commercio, salute, mobilità, psicologia, ecc. –, anche allo scopo di quantificare il fenomeno, è bene riportare qualche numero. In Italia ci sono 54 auto ogni 100 abitanti: in questo modo, è il paese europeo con la maggiore densità e uno dei primi del mondo. I costi per comprare e far camminare un auto equivalgono al 17% del reddito pro capite. La metà degli spostamenti in auto copre distanze inferiori ai 5 Km; il 95% del tempo un’auto è parcheggiata; la velocità media degli spostamenti sulle uattro ruote è 17 Km/h, una velocità che chiunque in bicicletta può raggiungere facilmente. Passiamo ai numeri relativi all’acquisto di biciclette. Cito dati dell’Ancma. nel 2007 sono state prodotte in Italia 2.520.000 biciclette. Molte di queste bici vengono esportate; viceversa, molte delle bici vendute in Italia sono di origine straniera. In tutto, si sono vendute quasi due milioni di bici di produzione nazionale e d’importazione.
Sul numero di persone che in Italia usano la bici mancano stime attendibili. Per quanto riguarda i ciclisti sportivi, si può partire dal numero dei tesserati delle varie federazioni sportive: 170 mila. Incorciando i dati con le vendite di bici da corsa e mountain bike di fascia medio-alta, si può ipotizzare che il ciclismo sportivo sia praticato con assiduità da circa 340 mila persone. I dati sono ancora più ipotetici per quanto riguarda i ciclisti urbani, benché si segnali da più parti (associazioni, comuni, ecc.) un amento lento e costante del loro numero.
L’ultimo dato, il più importante per il discorso che ci interessa, riguarda il numero delle bici presenti in Italia, in particolare in cantine e soffitte. La stima è di circa 30 milioni di esemplari. In una logica strettamente economica, per moltissime di queste bici, la spesa per risistemarle, in termini di manodopera retribuita, sarebbe notevole, per cui conviene gettarle; nella logica del riuso e del riciclaggio, invece, è opportuno ripararle e rimetterle in circolazione. Si può scegliere di imparare a riparare una bici, oppure regalarla a qualcuno che possa farlo, fuori dalle logiche di mercato: questa possibilità è data dalla scelta individuale di ciascuno o dalle ciclofficine.


Parentesi. La bici nella memoria collettiva
Sviluppatasi inizialmente come mezzo di trasporto elitario, all’inizio del Novecento la bici si diffuse come veicolo preferenziale di uso quotidiano. Nell’immaginario collettivo, la bici si è imposta sia come mezzo d’uso quotidiano sia per le vicende sportive delle grandi corse, in particolare il Tour de France e il Giro d’Italia, e dei campioni del passato. Tutti noi possiamo raccontare aneddoti di familiari e conoscenti, riguardanti la bici e il suo uso nelle più disparate condizioni, ma anche come abituale mezzo di trasporto. Nonostante le differenze generazionali, è soprattutto nella memoria individuale che la bicicletta occupa un posto importante, legato all’infanzia, all’esperienza di libertà, oltre che alle emozioni legate alla velocità, al confronto con il rischio. Qui ci toccherà parlare di questo nobile aspetto a proposito della pubblicità, non perché non manchino esempi più edificanti, anche se il rischio è quello di scadere nell’autobiografico. Come vedremo, la pubblicità, facendo leva sugli aspetti emotivi per vendere, ha trovato nelle bici dei nostri ricordi un possibile cavallo di Troia. Ma prima di tutto parliamo della bici come mezzo di trasporto quotidiano. (to be continued...)

mercoledì 18 marzo 2009

Di chi è la bici? Non è di nessuno, perché è di tutti

A partire da oggi, per diversi giorni, vi snocciolerò un articolo che ho scritto da qualche mese e che ha giaciuto nei cassetti di una redazione. Siccome primavera è arrivata, e lo testimoniano gli uccelli in avanscoperta con i rametti in bocca che corrono per il cielo, indaffarati a preparare la loro casa, loro sì, nomadi beati, comincerò a postare questo scritto a rate, per poi impacchettarlo definitivamente in un bel file cerimoniale che tutti potrete scaricare.

Il titolo dell'articolo è:
Di chi è la bici? Non è di nessuno, perché è di tutti
Spero che il concetto sia chiaro. Contiene riflessioni autarchiche non intellettualistiche. Mi auguro che qualcuno di voi abbia voglia di interagire.
Passo allora alla prima puntata di questa telenovela:

Tipi e motivazioni
Guardando passare un ciclista in una strada cittadina, non è difficile catalogarlo rapidamente all’interno di due grandi e variegate tipologie. La prima è il ciclista sportivo, o aspirante tale, in sella a una bici da corsa o a una mountain bike, che percorre un certo numero di chilometri per tenersi in forma o per diletto. Vestito con abbigliamento sportivo specifico, forse ha tirato fuori la bici dall’automobile con cui tornerà a casa, ora il ciclista si dirige vero mete casuali per allenarsi o ricrearsi. L'uso della bici può essere più o meno sporadico, ma le modalità di fruizione del mezzo sono le stesse.
La seconda categoria è quella del ciclista urbano, che usa la bici per spostarsi, ma anche per fare gite e passeggiate. Può essere abbigliato nei modi più disparati, persino in giacca e cravatta; in questo caso, la bici è usata come mezzo di trasporto e può essere da corsa, da città, una mountain bike, a scatto fisso, persino una Graziella, una Bmx o una bici con i freni a bacchetta. O può essere anche un esemplare unico, assemblato con pezzi comprati usati, raccolti da un cassonetto, in una ciclofficina o comprati sul web. Più o meno carico di bagaglio, il ciclista urbano porta uno zaino o una borsa con lo stretto indispensabile, magari qualche attrezzo, una pompa e una camera d’aria di riserva. Se minaccia pioggia, si dota di impermeabile. Sostanzialmente, quindi, la differenza tra le due tipologie è l’uso della bici come mezzo di trasporto (più o meno) quotidiano. I percorsi chilometrici che ogni giorno si devono compiere possono essere brevi o lunghi, fino a raggiungere distanze ragguardevoli di 50-60 Km, o anche più. Non è infrequente neanche l’uso della formula “treno più bici”, nonostante le notevoli difficoltà poste dalle politiche assolutamente inconsistenti delle varie aziende ferroviarie urbane ed extraurbane. Il nostro interesse in questo articolo ricade sull’uso urbano della bici e sui fenomeni circostanti che ne favoriscono (pochi) o impediscono (molti) la diffusione, al di là delle dichiarazioni ufficiali, delle leggi e dei regolamenti che dall’Unione Europea entrano fino ai regolamenti condominiali; spesso, infatti, è difficile persino far accettare il parcheggio della bici nell’androne di un palazzo.
Tralasciamo quindi le questioni legate all’uso sportivo, e anche a quello salutista, della bici, notando di sfuggita che non basta certo pedalare qualche domenica al mese, per un’ora, in primavera-estate, per ottenere risultati positivi per la salute.
(to be continued...)

martedì 17 marzo 2009

Roma in guerra

Ovviamente, i titoloni sono per le vigilesse che salgono sulla pedana di Piazza Venezia (Il Messaggero oggi vi dedica due pagine, pp. 29 e 30) e, in seconda battuta, si parla delle multe ai tassisti di Ciampino. Ma la notizia principale è un’altra. Sapete che Roma è andata in guerra, e che l’anno scorso ci sono stati 250 morti e quasi ventimila feriti. E la guerra continua. Non lo sapevate? L’Associazione romana dei vigili urbani (Arvi) ha diffuso i dati dei morti e feriti nelle strade di Roma nel 2008. Sono morte 144 persone (più un centinaio su moto e motorini), i feriti sono stati 19 mila. Un bell’articolo di Eraldo Affinati sul Corriere della sera di oggi, Cronaca di Roma, p. 1, mette il dito nella piaga: «Tutti vogliono arrivare primi. Muoiono i piloti spericolati, insieme ai passanti in attesa dell’autobus; si sfracellano a terra i centauri durante manovre azzardate, ma rischia anche chi attraversa la strada sulle strisce, con le cautele necessarie [...]. Si sorpassa a destra, ci si infila dappertutto, si bruciano i tempi ai semafori, si parcheggia ovunque [...] Le consolari periferiche sono tappezzate dei ricordi fioriti delle giovani vittime: ma questo non aumenta affatto la prudenza».
Il vero problema sono i controlli e le modalità operative dei vigili urbani. La faccenda della pistola ai vigili è una buffonata, di fronte a tutti questi morti e feriti da imprudenza. I vigili stazionano perlopiù ai semafori e azionano i pulsanti nelle ore di punta. Ci vorrebbero invece vigili a piedi e in bicicletta, molto seri, con autovelox, blocchetto delle contravvenzioni e occhi aperti. Come mai ogni giorno vedo quindici persone che parlano al cellulare, svoltano a fatica con una mano continuando a parlare. Come mai, quando vado in auto, mi accanisco a rispettare i limiti di velocità, fregandomene di chi abbaglia e abbaia, e nessuno fa una multa?
Io i vigili urbani li rispetto e li ammiro. Sono loro e siamo noi ciclisti a respirare più smog e a renderci conto del comportamento scriteriato di molti automobilisti, della follia del traffico quotidiano che ti porta via le ore di tempo e la gente dà in escandescenze, suona il clacson, accelera irrazionalmente fino alla fila successiva.
Mauro Cordova, presidente dell’Arvu, ha spiegato quali sono i problemi ricorrenti: «Non si vede più un vigile in strada, a controllare il traffico ormai ci vanno solo i precari e pochi altri. Il resto dei colleghi resta dietro la scrivania per sbrigare faccende burocratiche. Stimiamo che su 6300 vigili, in media solo 1500 vadano in strada su 4 turni, quindi non più di 400 vigili per volta, visto che di notte sono molti meno.
Gabriele Di Bella, vigile e sindacalista, ha detto: «Spesso gli autovelox giacciono per mesi negli armadi dei comandi» (Corriere della Sera, Cronaca di Roma, 17 marzo 2009, p. 3).
Avete capito?

La bici, l'oceano, le strade

Delle tante citazioni sulla bici, spesso legate a una dimensione di libertà, o persino di fuga, c'è una sorprendente per il suo contesto, non tanto per l'associazione di idee da cui è scaturita. La scopriamo in un libro di un grande navigatore, Bernard Moitessier. A bordo del Joshua, Moitessier è impegnato nella prima regata in solitario intorno al mondo. In pieno oceano, il navigatore riflette sulla sua condizione, sulla libertà, prima di maturare la decisione di abbandonare la gara e dirigersi verso il Pacifico. Una riflessione in cui, non a caso ma a sorpresa per il lettore, spunta una bicicletta:

«Se si desse retta a quelli della tua specie, più o meno vagabondi, più o meno scalzacani, saremmo ancora alla bicicletta.
Appunto. Nelle città si andrebbe in bicicletta. Non ci sarebbero più quelle migliaia di auto, con dei tizi duri e chiusi dentro alle stesse. Si vedrebbero ragazzi e ragazze a braccetto, si udrebbero delle risa, si udrebbe cantare, sui visi si vedrebbero cose carine, la gioia è l'amore rinascerebbero dappertutto, tornerebbero gli uccelli sui pochi alberi superstiti nelle nostre strade e si ripianterebbero gli alberi uccisi dal Mostro. Allora si sentirebbero le vere ombre e i veri colori e i veri rumori, le nostre città ritroverebbero l'anima e la ritroverebbe anche la gente.

Non è un sogno tutto ciò. Io so che non lo è. Tutto ciò che gli uomini hanno fatto di bello e di bene, l'hanno costruito col proprio sogno...Ma laggiù il Mostro ha dato il cambio agli uomini, è lui a sognare al nostro posto. Vuol farci credere che l'uomo sia l'ombelico del mondo e che ha tutti i diritti perché ha inventato la macchina a vapore e molte altre macchine, e un giorno andrà nelle stelle, purché, tutto sommato, si spicci un pochino, prima della prossima bomba.
Ma a quest'ultimo proposito, non c'è da preoccuparsi. Il Mostro è ben lieto che si faccia in fretta. Ci aiuta a fare in fretta. Il tempo stringe. Non si dispone quasi più di un po' di tempo...Correte, correte! Soprattutto non fermatevi a pensare. Per voi penso io, il Mostro. Correte verso il destino che vi ho segnato, correte senza fermarvi fino in fondo alla strada dove ho collocato la Bomba oppure l'abbrutimento totale dell'umanità. Siamo quasi arrivati, correte a occhi chiusi, è più facile. Gridate tutti insieme: Giustizia – Patria – Progresso – Intelligenza – Dignità – Civiltà...Come, tu non corri? Te ne vai a spasso sulla sua barca per pensare! E osi protestare nel tuo magnetofono! Dici quello che ti sta sullo stomaco! Aspetta un po', povero imbecille, ti farò abbattere in fiamme. I tipi che si arrabbiano e lo dicono ad alta voce sono pericolosi per me, devo tappargli la bocca. Se ce ne fossero troppi ad arrabbiarsi, non potrei più fare correre la mandria umana secondo la mia legge, con gli occhi e le orecchie tappati dall'Orgoglio, dalla Stupidità e dalla Viltà...Ho fretta che arrivino, soddisfatti e belanti, là dove li conduco...».


Bernard Moitessier, La lunga rotta. Solo tra mari e cieli, Mursia, Milano, 1972, pp. 184-85.

lunedì 16 marzo 2009

Fantasia su un supplemento automobili

Leggo il supplemento automobili di Panorama, febbraio 2009. Illuminante lettura, un po' masochistica, ma poi piluccando anche qui si trovano cose molto interessanti. In copertina, a lettere cubitali: “Il futuro che stiamo aspettando. L'auto di domani costerà la metà”. Mia interpretazione: non sapranno più come venderle e te le tireranno appresso. Loro intenzione: diversa, sicuramente. Comunque propongono, sempre in copertina, una Fiat a 6000 euro. Sfogliando le pagine arriviamo alla Jeep Commander, un Suv che vuol far presa su persone insicure e frustrate, con un nome talmente chiaro che non c'è bisogno di spiegarlo. “Io comando”, sembra dire l'imbecille al volante, mentre a fatica cerca di farsi largo nelle strade cittadine, dando gas verso il semaforo rosso e l'ennesima coda, che non sono eventi inattesi, ma sono ben piazzati dinanzi a lui. Ma lasciamo stare queste osservazioni, peraltro verificabili da tutti coloro che vivono in città. La didascalia della guida in allegato al settimanale della Mondadori è molto più esplicita e spero possa far desistere le poche persone ancora intenzionate ad acquistare un Suv: “Non sta avendo un grosso successo, quindi attenzione alla svalutazione”. Ah, benedetta svalutazione che restituisci alle cose il loro giusto valore... Il prezzo, a seconda dei modelli, oscilla fra i 43391 e i 67021 euro. Siccome con la crisi stanno aumentando i poveri, e anche coloro che non se la passano troppo bene pur non arrivando a essere poveri, ma stanno aumentando, in misura minore, anche i ricchi, è evidente che questo genere di prodotto attiri le fantasie di psicopatici intenzionati a far colpo. Passiamo al prodotto dell'industria automobilistica che più di ogni altro rappresenta l'abominio: l'Hummer. Concepito inizialmente per le forze armate statunitensi, ne riflette tutta l'imponenza, la scarsa diplomazia e il quoziente intellettivo. Sul modello H2, il redattore del supplemento di Panorama si mette una mano sulla coscienza: “Sovradimensionata, va contro ogni principio economico ed ecologico”. Anche chi, per motivi di opportunità, strizza l'occhio all'industria dell'auto non può essere reticente di fronte a questo monumento alla stupidità umana. Nel caso limite, quindi, emerge la verità, peraltro valida per tutti i Suv. Il veicolo in vendita pesa poco meno di 3 tonnellate, ha un motore di 6162 cc., tocca i 160 Km/h, è un Euro 4 (il che la dice lunga su queste assurde classificazioni “ecologiche”), costa fra i 72 mila e i 76 mila euro. Di bollo si pagano soltanto 1004,91 euro all'anno: una vera ingiustizia sociale. Inutile dire che il crash test per il frontale, il pedone e il bambino non è stato effettuato. Non è difficile immaginare che quello per il pedone equivarrebbe all'azione di un tritacarne da tre tonnellate.
Ricordo, ancora una volta, i motivi per cui il legislatore europeo dovrebbe impedire la vendita dei Suv nei Paesi dell'Unione Europea. Sono troppo potenti rispetto al loro peso; le normali barriere stradali (marciapiedi, guard-rail, ecc.), e anche i muri delle case, sono inadatti a limitare i danni in caso di perdita di controllo del mezzo; non possono essere rimossi in caso di divieto di sosta; i dossi e altri dissuasori di velocità non hanno effetto alcuno su queste macchine; quando sono parcheggiate, per mancanza di spazio sono frequentemente di impedimento alla circolazione (e molto spesso posizionate male a causa della loro mole, il bello è che i proprietari si lamentano pure perché non trovano posto...); sono molto, e inutilmente, inquinanti.
Mi piacerebbe vedere un giorno banditi questi inutili e stupidi mostri dalle nostre strade anche per questioni di decenza civile. La riprovazione sociale nei confronti di chi acquista questi mezzi dovrebbe essere molto più forte e urgente. Quando vedo passare una di queste cose provo schifo e repulsione, e lo manifesto (pacificamente) come se vedessi un pezzo di merda da tre tonnellate camminarmi a fianco.
Mi piacerebbe vedere un giorno uno di questi mezzi tutto arrugginito, tappezzato di licheni e con uno spruzzo di acqua sul tetto, a mo' di fontana, in un parco pubblico, bersaglio delle pallonate di futuri campioni.

venerdì 13 marzo 2009

Ancora sul bike sharing

Ancora un'annotazione sul bike sharing. A Torino due gare d'appalto per l'assegnazione del b.s. sono andate deserte. A Roma si è detto di fare una cosa analoga. Succederà la stessa cosa? Il bike sharing non è un'attività molto redditizia. Conviene al Comune come rappresentante della cittadinanza che paga le tasse e muore di smog. ma da qui a pensare di arricchirsi con gli spostamenti in bici per il centro città ce ne corre.

giovedì 12 marzo 2009

Gooooooodooooo

La Reuters ha battuto la seguente: La crisi economica potrebbe dimezzare emissioni di Co2.
La crisi economica globale potrebbe ridurre le emissioni di gas serra del 50%. Lo ha detto oggi uno scienziato al Congresso sul Cambiamento Climatico, Terry Barker.
«Entro il 2012 si potrebbe arrivare a una riduzione dal 40% al 50%», ha detto lo scienziato, «, ma è tutto da vedere».
Speriamo allora di non uscire troppo presto dalla crisi. Superata la fase del bisogno, la nostra società si è buttata sul raggiro, lo spreco e il consumo fine a sé stesso, tipo non m'arriva la mascherina da Batman per il suv.

Comuni a pedali ?

Per la serie gesti simbolici, ma staremo a vedere: oggi su la Stampa, giornale della Fiat, in prima pagina, troneggiava una foto del sindaco di Torino Chiamparino a bordo di una bici gialla. Il Comune lancia il progetto "bici blu". per ora sono 15 e verranno offerte in alternativa alle auto blu, che questa benedetta crisi invita a tagliare. Non è una mossa coraggiosa, sa un po' di demagogia, ma bisognerà vedere alla fine quanti assessori useranno la bici.
Lo scorso dicembre il console olandese a Milano donò una bici (olandese, ovviamente) al Sindaco di Torino (cfr. qui.). In quell'occasione, il sindaco dichiarava: «Questo dono ha un forte valore simbolico perché sottolinea l’eccellenza della nostra città nel campo del design, che nel 2008 abbiamo celebrato con Torino World Design Capital. Nello stesso tempo è un invito, uno stimolo all’uso della bicicletta come strumento di mobilità. Per questo il dono del Console Nora Stehouwer-Van Iersel mi è molto gradito». Su questa associazione bici-design-Torino ritornerò, perché è molto interessante, se ritrovo alcuni appunti.
Già nel settembre 2007, il Sindaco donava "bici blu" ad altri sindaci. Il capogruppo della Lega commentava negativamente (vedi qua). L'occasione era la "Giornata italiana per la mobilità ciclabile", grande abbuffata annuale di parole.

Intanto a Roma l'azienda spagnola "Cemusa", che gestisce il bike sharing della Capitale, ha scritto al Comune: vorrebbero fermarsi e sospendere il servizio. In questo modo, il servizio di bike sharing - 200 biciclette in tutto per 19 punti - verrebbe cancellato. Dice il Corriere della Sera di oggi, Cronaca di Roma, p. 2, che Il Comune non si è mosso. Infatti la Cemusa ha messo a disposizione gratuitamente le bici, tanto per far vedere al Campidoglio come andava, per fargli venire la voglia di investire nel bike sharing, lui che non lo voleva o che si voltava dall'altra parte. Nel dicembre scorso è scaduto il periodo di prova. E poi? Ci voleva il contratto tra Cemusa e Comune di Roma. L'azienda spagnola lavora in tutta Europa, dove vuoi che incontri problemi? Il Comune, però, ha detto che avrebbe organizzato un bando pubblico per valutare l'offerta migliore per un simile servizio. L'Assessore Fabio De Lillo, riferisce il Corriere, si è impegnato a non sospendere il bike sharing. Tutte le volte che sono passato in centro, le rastrelliere erano quasi sempre vuote, segno che qualcuno fa uso delle bici.

mercoledì 11 marzo 2009

Olio usato

Anche sul fronte dell'inquinante, ho adottato il fai-da-te, il più possibile. Ho cambiato l'olio da solo! Dopo aver sentito preventivare 20-30 euro di manodopera più il prezzo (gonfiato dell'olio), ho deciso di organizzarmi da solo. Unico problema: la chiave quadra che usa la Renault per complicare le cose. Nemmeno tutti i meccanici ce l'hanno. Per 11 euro sono entrato in possesso di una chiave Beta.
Tutto fatto, è abbastanza facile, anche smontare il filtro dell'olio, con l'apposita chiave. Ultimo passaggio: lo smaltimento dell'olio esausto. Da un mese la tanica piena di olio nero giace nel bagagliaio. Devi chiamare il Comune di Roma per sapere dove andare e in quali orari. Ecco cosa mi hanno detto. Centri Ama che raccolgono l'olio usato:

Piramide, v. Campo Boario, 58
Cinecittà, Togliatti, 59
Laurentina, vicino alla Motorizzazione
Ostia
Collatina, v. Severini CHIUSO
Tiburtina, vicino la fermata della metro Ponte Mammolo
Vigne Nuove, Ateneo Salesiano: h.7-13; 14-18.30 (andrò qua).

Bici agricola

Mi permetto una breve autocelebrazione. La cooperativa agricola Cobragor, che aveva scoperto il Km 0, la filiera breve, il biologico, prima che nascessero, si trova vicino a casa mia e ci vado a fare la spesa quando posso. Hanno delle bici, ma forano spesso nei campi, con le spine. Ho approntato così la mia prima bici agricola senza spesa, usando i pezzi della Ciclofficina exLavanderia. Le ruote sono ricavate dalla vecchia mtb che mi hanno dato, ma il cui telaio era totalmente arrugginito. Ho ritirato fuori il telaio della mia vecchia Sarto, messo una forcella, i freni. Per evitare le forature esistono degli anelli di kevlar che costano però più di 20 euro. Ho preso invece due vecchi tubolari, ho tagliato la valvola, ho aggiunto un pezzetto di tubolare per ruota, e li ho incolati con il mastice dentro il copertone tacchettato. Spero che funzioni. Siccome il terremo è pianeggiante e il fango è molto, ho pensato di levare il cambio, accorciando la catena e allineandola con un rapporto non troppo pesante. Alla fine ho messo pure un portapacchi, pescato l'estate scorsa in un campo al mare. Spesa: 2 euro per una camera d'aria.

martedì 10 marzo 2009

Cosa porto appresso

Non è forse inutile scambiarsi opinioni sulle cose da portarsi appresso in bici.
Ho approfittato di una bella giornata per rimettere a posto le cose nello zaino: infatti, portarsi dietro qualcosa senza sapere di averlo è come non avercelo (ma pesa). La dotazione ogni tanto cambia, ma ormai si è più o meno stabilizzata, come vedete nella foto.



Manca il faro anteriore, sganciabile, montato sulla bici. Da sinistra e dall'alto:
pompa;
scatoletta di metallo con mastice, toppe e minuterie;
nastro adesivo di carta,
camera d'aria da 26";
cioccolato fondente Novi comprato con forte sconto;
fazzoletti di carta in busta di plastica;
shopper di tela;
lucchetto leggerissimo (d'emergenza);
multitool e levagomme con custodia;
coltellino svizzero con custodia;
contenitore di sorpresa dell'ovetto Kinder con dentro un paio di guanti di lattice;
chiavi 12-13 dell'Usag e 14-15 della Beta (applicazione del manuale Cencelli all'utensileria italiana di qualità);
macchina fotografica;
zaino con luce posteriore incorporata;

In certi casi, mi porto anche un secondo multitool, con smagliacatena, brugole e chiavi esagonali piccole.

lunedì 9 marzo 2009

Il Ponte un'altra volta, poi basta

Oggi mi sono imbattuto di questo cartello sul famigerato ponte di cui o parlato anche la scorsa settimana. Pare che il problema che affligge la ciclabile Ponte Milvio-Castel Giubileo sia percepito anche da altri. Fra potature, lavori e il ponte, la pista non è agibile da quasi cinque mesi. Volevo vedere se chiudevano la Casilina o la Tiburtina per 24 ore cosa succedeva. Invece facciamo come ci pare, tanto a Roma i ciclisti sono pochi, vanno in giro per divertimento, col ponte chiuso faranno la cyclette, 'sti cazzi.

venerdì 6 marzo 2009

Ancora sul Ponte della ciclabile

Il 12 gennaio e il 3 febbraio abbiamo parlato della chiusura del ponte sulla ciclabile Ponte Milvio-Castel Giubileo. Il ponte continua a essere chiuso, con in vista dei grossi segnali di pericolo. Si teme forse un effetto tipo ponte Tacoma. Mi hanno detto che si devono fare le prove di carico. Probabilmente il dilatarsi dei tempi è dovuto al fatto che si sta aspettando materiale NASA da Houston, per effettuare le suddette prove di collaudo. Una faccenda terribilmente seria. D'altra parte, qualcuno avrà fatto balenare rischi terribili per i ciclisti: forse è meglio abbattere il ponte e costruirne uno nuovo in titanio, con una rapida gara d'appalto, così stiamo tutti sicuri. Tanto paga il cittadino.

giovedì 5 marzo 2009

500 ore all'anno fermi nell'auto

Secondo una indagine dell'Aci presentata ieri, ogni anno a Roma e Milano si trascorrono mediamente 500 ore in auto fermi nel traffico. In altre città le ore sono un po' di meno. Tuto questo costa 40 miliardi di euro all'anno. A Roma, individualmente un automobilista spende 650 euro all'anno per queste attese. Ossia il prezzo di un'ottima bicicletta. Mi sembra una stima ottimistica, in quanto frutto della statistica, quindi si prende in considerazione pure i tanti che usano poco l'auto. Non viene conteggiata la spesa in prodotti per l'acidità di stomaco e il mal di testa, le conseguenze economiche di multe, fretta (un ingrediente fondamentale del dispendio economico),che pure costituiscono un riflesso della stessa situazione.
Mi vengono sempre in mente quegli scooteroni 600 cc. che ruggiscono perché, poverini, non riescono a passare, e quei suv che scattano per due metri con tutti i loro 4500 cc. per inchioare pericolosamente poco più in là. Ma è ancora una volta la statistica crudele della quotidianità a fare impressione: speriamo che dia una spinta a qulche aspirante ciclista. Sui pedali 500 ore portano lontano ed è tutta salute.

martedì 3 marzo 2009

Varie dal giornale

Borse a picco, crolla il Pil.

"La crisi finanziaria è l'occasione per ricostruire da zero un sistema che palesemente non funziona" (Muhammad Yunus).

Alla buvette del Senato i prezzi calano del 20% (forse sono vincolati alla caduta del Pil).

Parroci e vescovi cattolici: a Quaresima digiuno di sms, tv e iPod. (dopo Pasqua ricominciate come prima, anche peggio).

Vendite auto: gli incentivi frenano il tracollo (già siete sicuri, vero?).

A Roma, telecamere, controlli, vigili, controllori sugli autobus (nelle strade, invece, il deserto e la Formula 1).

Roma metropolitana: si dimette Chicco "Strangelove" Testa. Con quattro centrali atomiche da costruire, avrà altro a cui pensare...

C'è la crisi, pedalate.

lunedì 2 marzo 2009

Colle della Strega

La "Cronaca di Roma" del Corriere della Sera odierno ci segnala un classico caso, relativo alla zona situata tra la via Laurentina e l'Ardeatina: ambientalisti contro ciclabile. Come è possibile, si domanderà qualcuno? Il fatto è che una pista ciclabile è a tutti gli effetti una strada, quindi a dforte impatto ambientale. Una pista ciclabile è edificazione. Magari offre pure il destro a qualche altra struttura, tipo bar, cornetteria, tramezzineria, happy hour, non so. Comunque è cemento e asfalto. Cioè: non si fanno ciclabili dove previsto dalla legge nazionale e regionale (che dice che ogni nuova strada deve avere una ciclabile a fianco). Invece se ne fanno in mezzo al verde. Con una memoria risalente al maggio del 2007 la Regione Lazio ha chiesto l'inserimento della zona nel parco dell'Appia.