COMMENTO - Anna Pizzo
Sandro Medici, candidato alle primarie del centro sinistra per le prossime amministrative, ragionerà nei prossimi mesi con il maggior numero di cittadini possibile, indicendo un concorso pubblico di idee e di immaginazione, su cosa possa essere una città nuova
Immaginiamo una città vivace ma non frenetica, curiosa ma non ansiosa, orgogliosa del proprio passato quanto del futuro. Una città accogliente, colta e giusta. Che riesce a fare a meno della speculazione e al tempo stesso a garantire a tutti i cittadini buoni luoghi dove abitare e buoni lavori e una rete intelligente di trasporti e servizi sociali e teatri che non sembrino musei, e dove la cultura sia un bene comune e per tutti e tutte disponibile. Un luogo dove è piacevole vivere e dove i diritti non si trasformano in privilegi. Potrebbe essere solo un sogno oppure una possibilità concreta.
È "Roma come ti vorrei", per ora solo una ipotesi, quella del presidente del decimo Municipio romano, Sandro Medici, che si propone di "concorrere" alle primarie (quando ci saranno) per scegliere il candidato a sindaco delle sinistre o del centrosinistra fuori, in ogni caso, dall'aggregato di poteri che ha sempre governato, cioè usato, la città.
Chi pensa che la candidatura di Medici sia prematura conosce poco i meccanismi della politica e la frenesia onnivora dell'attuale sindaco, Alemanno, che già da tempo sta preparando con "uomini e mezzi" la replica di se stesso. Ma probabilmente ignora anche le grandi manovre a sinistra con un possibile candidato, l'attuale presidente della provincia, Nicola Zingaretti, in prima posizione, ma solo a patto che ragioni di realpolitik non lo dirottino verso il governo nazionale. In quel caso, già si fanno i nomi di scorta, tra tutti quello dell'attuale ministro all'immigrazione Andrea Riccardi. Fin qui la solita storia, quella di una piramide delle decisioni dalla quale i cittadini sono esclusi e del teatrino della politica - o di quel che ne resta - che gioca all'asso pigliatutto.
Oppure, finalmente, come a Napoli, Milano, Cagliari, Genova e in molte altre città già accade o sta per accadere, si cambia. Perché i cittadini non ce la fanno più a sopportare il gioco truccato delle elezioni e vogliono non solo partecipare, ma contare, decidere da sé. Sandro Medici è da dieci anni al governo di un pezzo di Roma grande come una media città italiana, in uno dei Municipi sinonimo, nel bene e nel male, di metropoli. Con le contraddizioni, le fatiche ma anche le ambizioni di un territorio metropolitano. A partire da quel punto di osservazione, ha lavorato con i cittadini per cambiare, allargare, includere, sperimentare. Con molte fatiche e qualche necessario strappo. E i risultati ci sono: dalla requisizione di centinaia di appartamenti vuoti assegnati a famiglie sfrattate a servizi sociali d'eccellenza, dalle svariate esperienze di autogoverno per l'accoglienza delle donne in difficoltà o per la promozione di centri culturali, dal registro delle unioni civili a quello del testamento biologico e, ultima arrivata, la pre-cittadinanza ai figli degli stranieri nati a Roma.
Fin qui è arrivato il lavoro di dieci anni che, negli ultimi, si è trasformato in un logorante e progressivo processo di smantellamento: la crisi economica, che impone la dittatura dell'"austerità", e la crisi della politica, che impone la dittatura di un ceto politico residuale, hanno spazzato via quel po' di decentramento e di democrazia che avevano, nei Municipi, un punto di forza. Restano (ancora per poco) le impalcature, pressoché svuotate di ogni possibilità concreta di agire.
Da questa evidente emergenza democratica, dalla impossibilità dei partiti di riformare se stessi, dalla urgenza di dare vita a una forma della politica comunitaria e concretamente democratica nasce "Roma come ti vorrei", l'idea di Sandro Medici, alla quale stanno offrendo ascolto e attenzione un numero certo ancora non sufficiente - nessuna "campagna" pubblica è iniziata, finora - ma sempre più ampio di cittadini.
La sfida, lo ha detto un paio di giorni fa lo stesso Medici nel corso di una preliminare chiacchierata con amici, amiche, compagni di viaggio, che si è svolta nella Casa internazionale delle donne, è di quelle senza mediazioni: non ci si lancia in una simile avventura per ottenere qualche diritto in più ma l'esercizio totale dei diritti civili, sociali e politici. Non ci si misura con un moloch (anche se piuttosto malridotto) come quel che resta del Partito democratico a Roma senza avere l'ambizione di imporre una totale sterzata agli equilibrismi e ai compromessi che hanno appesantito la Roma governata da Rutelli e da Veltroni. Non si pretende di scardinare quel sistema di potere e di interessi che ha portato al Campidoglio Gianni Alemanno senza decidere di cambiare radicalmente rotta, nei contenuti e nelle forme.
A nessuno sfugge che Roma ha un peso specifico molto alto nelle vicende nazionali e il suo governo ha molto a che fare con il governo del paese. È questo, tra i molti altri accidenti di cui soffre la città, uno dei fattori che l'hanno ridotta allo stremo, scippandole la possibilità di autogovernarsi e consegnandola nelle mani dei molti e famelici comitati d'affari.
Forse è tardi per risvegliare l'orgoglio dei cittadini affranti, più che delusi? Forse è tardi per tentare di non consegnare la decisione sui destini di Roma a imprenditori senza scrupoli e politici - magari onesti e intelligenti - ma sprovvisti dell'indispensabile autonomia da una politica che marcia verso "grandi coalizioni" obbedienti ai "mercati": l'autonomia che occorre per essere non un "governatore" ma una opportunità per i propri concittadini?
La domanda non è fuori luogo ma, d'altra parte, le scelte - in sé radicali - sul futuro della città si fanno pressanti. Cosa fare del Piano regolatore firmato Veltroni che sta ricoprendo di cemento i residui "vuoti" urbani? Cosa fare di un grande patrimonio pubblico - caserme, ospedali, depositi dei trasporti pubblici... - che il governo vuole vendere per fare cassa? Come frenare l'abisso sociale che la crisi sta spalancando tra pochi ricchi e moltissimi impoveriti, tra l'uno per cento e il novantanove per cento? Come rivoluzionare finalmente un sistema di trasporto imprigionato dall'auto privata?
Di tutto questo, della Roma che vorremmo, ragionerà nei prossimi mesi il "candidato" Sandro Medici con il maggior numero di cittadini possibile, in ogni luogo della città, cercando sempre di trovare assieme le soluzioni, indicendo un concorso pubblico di idee, di immaginazione, su cosa possa essere una città nuova. Una forma di auto-costruzione di nuova politica, il cui fondamento, come dicono i cittadini di tutto il mondo, dagli Occupy negli Usa agli Indignados in Spagna, è una sola parola: democrazia.
È "Roma come ti vorrei", per ora solo una ipotesi, quella del presidente del decimo Municipio romano, Sandro Medici, che si propone di "concorrere" alle primarie (quando ci saranno) per scegliere il candidato a sindaco delle sinistre o del centrosinistra fuori, in ogni caso, dall'aggregato di poteri che ha sempre governato, cioè usato, la città.
Chi pensa che la candidatura di Medici sia prematura conosce poco i meccanismi della politica e la frenesia onnivora dell'attuale sindaco, Alemanno, che già da tempo sta preparando con "uomini e mezzi" la replica di se stesso. Ma probabilmente ignora anche le grandi manovre a sinistra con un possibile candidato, l'attuale presidente della provincia, Nicola Zingaretti, in prima posizione, ma solo a patto che ragioni di realpolitik non lo dirottino verso il governo nazionale. In quel caso, già si fanno i nomi di scorta, tra tutti quello dell'attuale ministro all'immigrazione Andrea Riccardi. Fin qui la solita storia, quella di una piramide delle decisioni dalla quale i cittadini sono esclusi e del teatrino della politica - o di quel che ne resta - che gioca all'asso pigliatutto.
Oppure, finalmente, come a Napoli, Milano, Cagliari, Genova e in molte altre città già accade o sta per accadere, si cambia. Perché i cittadini non ce la fanno più a sopportare il gioco truccato delle elezioni e vogliono non solo partecipare, ma contare, decidere da sé. Sandro Medici è da dieci anni al governo di un pezzo di Roma grande come una media città italiana, in uno dei Municipi sinonimo, nel bene e nel male, di metropoli. Con le contraddizioni, le fatiche ma anche le ambizioni di un territorio metropolitano. A partire da quel punto di osservazione, ha lavorato con i cittadini per cambiare, allargare, includere, sperimentare. Con molte fatiche e qualche necessario strappo. E i risultati ci sono: dalla requisizione di centinaia di appartamenti vuoti assegnati a famiglie sfrattate a servizi sociali d'eccellenza, dalle svariate esperienze di autogoverno per l'accoglienza delle donne in difficoltà o per la promozione di centri culturali, dal registro delle unioni civili a quello del testamento biologico e, ultima arrivata, la pre-cittadinanza ai figli degli stranieri nati a Roma.
Fin qui è arrivato il lavoro di dieci anni che, negli ultimi, si è trasformato in un logorante e progressivo processo di smantellamento: la crisi economica, che impone la dittatura dell'"austerità", e la crisi della politica, che impone la dittatura di un ceto politico residuale, hanno spazzato via quel po' di decentramento e di democrazia che avevano, nei Municipi, un punto di forza. Restano (ancora per poco) le impalcature, pressoché svuotate di ogni possibilità concreta di agire.
Da questa evidente emergenza democratica, dalla impossibilità dei partiti di riformare se stessi, dalla urgenza di dare vita a una forma della politica comunitaria e concretamente democratica nasce "Roma come ti vorrei", l'idea di Sandro Medici, alla quale stanno offrendo ascolto e attenzione un numero certo ancora non sufficiente - nessuna "campagna" pubblica è iniziata, finora - ma sempre più ampio di cittadini.
La sfida, lo ha detto un paio di giorni fa lo stesso Medici nel corso di una preliminare chiacchierata con amici, amiche, compagni di viaggio, che si è svolta nella Casa internazionale delle donne, è di quelle senza mediazioni: non ci si lancia in una simile avventura per ottenere qualche diritto in più ma l'esercizio totale dei diritti civili, sociali e politici. Non ci si misura con un moloch (anche se piuttosto malridotto) come quel che resta del Partito democratico a Roma senza avere l'ambizione di imporre una totale sterzata agli equilibrismi e ai compromessi che hanno appesantito la Roma governata da Rutelli e da Veltroni. Non si pretende di scardinare quel sistema di potere e di interessi che ha portato al Campidoglio Gianni Alemanno senza decidere di cambiare radicalmente rotta, nei contenuti e nelle forme.
A nessuno sfugge che Roma ha un peso specifico molto alto nelle vicende nazionali e il suo governo ha molto a che fare con il governo del paese. È questo, tra i molti altri accidenti di cui soffre la città, uno dei fattori che l'hanno ridotta allo stremo, scippandole la possibilità di autogovernarsi e consegnandola nelle mani dei molti e famelici comitati d'affari.
Forse è tardi per risvegliare l'orgoglio dei cittadini affranti, più che delusi? Forse è tardi per tentare di non consegnare la decisione sui destini di Roma a imprenditori senza scrupoli e politici - magari onesti e intelligenti - ma sprovvisti dell'indispensabile autonomia da una politica che marcia verso "grandi coalizioni" obbedienti ai "mercati": l'autonomia che occorre per essere non un "governatore" ma una opportunità per i propri concittadini?
La domanda non è fuori luogo ma, d'altra parte, le scelte - in sé radicali - sul futuro della città si fanno pressanti. Cosa fare del Piano regolatore firmato Veltroni che sta ricoprendo di cemento i residui "vuoti" urbani? Cosa fare di un grande patrimonio pubblico - caserme, ospedali, depositi dei trasporti pubblici... - che il governo vuole vendere per fare cassa? Come frenare l'abisso sociale che la crisi sta spalancando tra pochi ricchi e moltissimi impoveriti, tra l'uno per cento e il novantanove per cento? Come rivoluzionare finalmente un sistema di trasporto imprigionato dall'auto privata?
Di tutto questo, della Roma che vorremmo, ragionerà nei prossimi mesi il "candidato" Sandro Medici con il maggior numero di cittadini possibile, in ogni luogo della città, cercando sempre di trovare assieme le soluzioni, indicendo un concorso pubblico di idee, di immaginazione, su cosa possa essere una città nuova. Una forma di auto-costruzione di nuova politica, il cui fondamento, come dicono i cittadini di tutto il mondo, dagli Occupy negli Usa agli Indignados in Spagna, è una sola parola: democrazia.
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