mercoledì 28 marzo 2012

Chissà se un giorno si comprenderà il potenziale turistico della bicicletta in Italia

Grand Pedal Tour dei 44 siti Unesco

Fonte: Il Sole-24 ore

Venisse ora in Italia, il Goethe del XXI secolo opterebbe forse per il Grand ciclo-Tour, pedalando da Nord a Sud, in montagna o in pianura, tra natura e cultura: tappe del viaggio i siti nazionali «patrimonio dell'umanità». È il felice progetto di cicloturismo «Unesco in bici», ideato da Alessandro Cristofoletti, ventotto anni e una laurea in Beni culturali «poco spendibile sul mercato»: «Non trovando un impiego, ho provato a fare delle mie passioni un lavoro, a creare un business a partire da ciò che amo: bici, natura, arte e cinema. L'idea mi è venuta nel 2009, dopo la promozione delle Dolomiti, la mia terra». Dalla Val Camonica ai trulli di Alberobello, dai Sacri Monti di Piemonte e Lombardia alla pagana Villa Adriana a Tivoli, «per concentrazione e quantità di siti siamo il primo paese al mondo. Impossibile fare una graduatoria: le mete più care sono state le Cinque Terre e la campagna valdorciana, e pure la Campania, con la sua brulicante Napoli e il selvaggio Cilento».

Ha voluto la bicicletta e si è messo a pedalare. «Ho trovato compagni di strada, ho cercato partner istituzionali e sponsor privati»: tra i primi figurano la Commissione nazionale Unesco, l'Associazione dei siti italiani, la Provincia e il Comune di Trento; i secondi hanno goduto di visibilità grazie al camper, tempestato di adesivi e marchi, che ha seguito il tour. «Non siamo riusciti a fare di questa avventura una professione, solo un'impresa no-profit. È stato un successo arrivare a coprire tutte le spese. Problematico lo scontro con la burocrazia: per filmare, ad esempio, avremmo dovuto pagare i diritti». Già nel '94 la Legge Ronchey prevedeva 4 milioni di lire al giorno per le riprese televisive o cinematografiche. Oggi quel tariffario è stato abolito; le cifre sono stabilite dalle singole Soprintendenze, ma gli ordini di grandezza non si discostano di molto: si va dai 500 ai 5.000 euro. «Tra i siti "protetti" ci sono il centro storico di Roma, Barumini, Agrigento… Qui ho capito tutte le contraddizioni italiane. "Sotto i Templi c'è un tesoro nascosto", mi ha confidato il direttore. "Se scavassimo troveremmo altre vestigia. Ma è meglio lasciare le cose così come sono: sepolte. Se le portassimo alla luce potremmo solo rovinarle perché non abbiamo né i soldi né le risorse per conservarle. È già difficile tenere in vita quello che c'è"». Splendori e miserie di un paese che può permettersi di stare seduto su un tesoretto - o ha un senso del limite così accentuato da non riuscire a prendere sul serio nemmeno la propria ricchezza. «La tappa in Sicilia è stata la più bella e la più amara».

«Il viaggio, nel 2010, è solo una parte del progetto: molto più tempo è stato speso, prima, per l'organizzazione, poi, per la "sbobinatura" del materiale». Cinquecento dvd, per 44 siti (oggi sono diventati 47), per 108 giorni, per 5mila chilometri in bici e 8mila in camper: il gruppo era composto da 15 persone, di cui sette hanno viaggiato, due per tutto il percorso, e solo uno sempre sui pedali. Dopo quasi tre anni di gestazione, è nato da poco un sito - definizione calzante: Unescoinbici.it. Entro fine mese sarà possibile consultare e scaricare tutti i contenuti: diario, video, cartine, foto. «All'inizio pensavo di farne un documentario, oppure una guida», ma i contributi mal si prestavano a una riduzione cinematografica o cartacea, sia per quantità sia per eterogeneità: la multipiattaforma restituisce, invece, la natura proteiforme e magmatica dell'iniziativa, oltre a essere in linea con lo spirito generazionale. «Per me la cultura è vita, non sta solo in un museo, né in un parco archeologico. La bellezza la si apprezza di più dopo aver faticato, anzi la fatica di pedalare crea di per sé valore, fa gustare il tragitto, non solo la meta. E, soprattutto, è eco-sostenibile».

Che la cultura faccia rima con natura lo credeva già Dino Buzzati: «A costo di apparir ridicola, salpa ancora, in un fresco mattino di maggio, via per le antiche strade dell'Italia. Noi viaggeremo per lo più in treno-razzo, allora, la forza atomica ci risparmierà le minime fatiche, saremo potentissimi e civili. Tu non badarci, bicicletta. Vola, tu, con le tue piccole energie». È una delle citazioni di Attenzione ciclisti in giro, appena pubblicato da ediciclo, che raccoglie testi di giornalisti, artisti, sportivi e scrittori su ciclismo e dintorni: un omaggio, più che ai miti di questa disciplina, ai suoi cronisti. Si scopre così che la cronaca sportiva ha lanciato molti nel mondo delle lettere, o forse sono stati gli intellettuali ad aver nobilitato la volgar competizione: il catalogo è lungo, da Pasolini a Malaparte, da Campanile a Gatto, e poi Pratolini, Testori, Ortese - allo sport della maglia rosa non poteva mancare la sua quota rosa.

Il libro, a cura di Marco Pastonesi e Fernanda Pessolano, con firme come Gianni Mura e Tiziano Scarpa (per citare i più famosi), sembra insomma un'agiografia di scrittori, un applauso a chi prende appunti, più che a chi suda. Icastico aneddoto: ultimata La scoperta di Milano, Giovanni Guareschi si ritrovò ingrassato di 15 chili. Decise allora di darsi alle due ruote: «Farò 1.200 chilometri in bicicletta!», scrisse alla moglie. Aldo Borelli, direttore del «Corriere», approfittò della vacanza dimagrante del suo collaboratore: così il genio confezionò, da una dieta a pedali, un reportage d'autore. Altri invece, Paolo Conte o Jovanotti, ma pure quel Marco Pantani che compose una canzone per Sanremo, hanno parcheggiato la bici nell'olimpo musicale. Di curiosità in citazione, zigzagando tra le arti e gli eroi del sellino, tra spettacoli teatrali e consigli per cicloturisti, è facile perdersi. Meglio affidarsi al disincanto di quella contessa milanese, raccontata da Gianni Brera, che, da nobildonna, poteva permettersi di non filosofare sul rapporto tra uomo e natura, e alle Belle Lettere preferiva il dialetto. Quando vide per la prima volta una bicicletta esclamò: «In mezz ai me gamb, de rob che stan minga in pée de per lor ghe ne ven minga!».

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