Tav. Val di Susa. Una battaglia rivoluzionaria per la democrazia
di Paolo Baldeschi
Una battaglia rivoluzionaria, non perché usi la violenza, ma perché, le ragioni dei No-Tav, se fossero accolte, implicherebbero una ‘rivoluzione’ nel sistema partitico-imprenditoriale- tangentizio italiano. Tutto ciò è esaurientemente spiegato ne Il libro nero dell'alta velocità di Ivan Cicconi. Il libro, documentato oltre possibile dubbio, spiega non solo le vicende, ma le ragioni strutturali di un affare, l'Alta Velocità, che è, dopo tangentopoli, il nuovo banco di finanziamento dei partiti, della casta e, Fiat in testa, dei capitalisti nostrani. E' un sistema che sfugge a ogni controllo tecnico, contabile e di legittimità e si autoalimenta sestuplicando (come di fatto è accaduto) il costo delle opere.
La chiave dell'architettura è il Project financing combinato alla Legge Obiettivo. Lo stato avrebbe dovuto finanziare attraverso Tav (dal 2010 sciolta in Rete ferroviaria italiana) un quaranta per cento del costo dell'opera, il sessanta i privati; i quali, però, di tasca propria hanno messo gli spiccioli, il resto se lo sono fatto prestare dalle banche, meglio se da loro partecipate. Ma non basta, perché per legge (obiettivo) il General Contractor dell'opera, soggetto privato scelto da Tav, affida direttamente progettazione e realizzazione delle opere a imprese collegate e rappresentative di tutto il capitalismo immobiliare e cementizio italiano: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti passando per la Lega delle cooperative, oltre, capofila, Impregilo della Fiat; il tutto senza gare d'appalto e via 'per li rami', cioè per sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad arrivare alle imprese della mafia e della camorra.
Con una fondamentale clausola: che i privati sono concessionari dell'opera per la 'realizzazione', ma non per la 'gestione'. Ciò significa che più alti sono i costi di costruzione, più si guadagna, mentre che l’opera fuzioni e faccia profitti non interessa. Come si è puntualmente verificato, con i nostri 60 milioni di euro a km contro i 10 di Spagna e Francia: una differenza che include ben altro che le gallerie e i viadotti. Un ultimo pregio: in quanto opera formalmente privata i debiti non vengono contabilizzati nel bilancio dello stato, ma di fatto le Ferrovie italiane e quindi lo stato ne garantiscono la solvibilità. La grande truffa è quindi un capolavoro politico-imprenditoriale per cui comandano i privati, pagano i contribuenti e guadagnano, oltre che gli imprenditori, i partiti, la casta, includendovi l'enorme numero di società di consulenza, advisors, esperti, progetti, consigli di amministrazione di società operative controllate, garanti, comitati, distribuiti in tutte le direzioni politiche.
Il risvolto tragico della vicenda è che l'alta velocità in Italia non serve, almeno non nel modello francese, ma piuttosto in quello tedesco o austriaco: velocità più ridotte, stazioni più frequenti, adeguamento del materiale rotabile esistente; con un unico difetto però: di costare troppo poco rispetto a faraoniche progettazioni di linee ferroviarie dedicate, sottoattraversamenti urbani – i cosiddetti ‘nodi’ - massicci acquisti di nuovo materiale rotabile. E, peggio ancora, la nostra alta velocità viene realizzata per tratte su cui è illusorio il pareggio di bilancio (ma la gestione, si è visto, non spetta ai privati): pagherà lo stato. Come a Val di Susa, dove, si sa, l'adeguamento del sistema ferroviario attuale sarebbe già ampiamente sovrabbondante rispetto alla domanda.
Insomma si distrugge il territorio, si inquina l'ambiente, si prosciugano fiumi e sorgenti, si trivellano le montagne e mettono a nudo rocce amiantifere, si mettono a rischio città e cittadini, tutto perché il sistema macini ancora guadagni sicuri per una cupola politico-affaristica e altrettanto sicuri debiti per le incolpevoli 'generazioni future'.
Fonte: Eddyburg
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