Dopo il nostro primo spettacolo, al gruppo di critici-attivisti votati all'abbattimento del sistema, venne in mente un'altra idea. Fu presa nel corso di una serata alcolica (in cui vennero commessi diversi errori sulla scelta degli alcolici). Trascorsero diverse ore su una nota petulante e noiosa, ma anche alla verso la fine la serata si accese e ritornò il buonumore della sommossa artistica. L'idea era di mettere in scena Il suono giallo di Kandinskij, confinando gli spettatori in uno spazio ristretto, per poi gettare loro addosso una valanga di stimolazioni sensoriali, in una sorta di realtà virtiale ante litteram, che tenesse anche conto della lezione di Artaud. Annichilire gli spettatori e rimandarli a casa (forse) cambiati per sempre.
Dov'era finito quell'Archi? Ci servirebbe proprio. Funziona. Cominciammo a chiedere in giro. Pare che frequentasse i vernissage di tutte le mostre che si inauguravano a Roma e dintorni, a prescindere dalla tendenza dell'artista. Lo scopo era alimentarsi e bere a sbafo. Archi si definiva "critico" di diverse testate (perlopiù inventate per non incappare in colleghi indesiderati) e fogli ciclostilati, ma anche e soprattutto un critico verbale. Era un'idea geniale. Il critico verbale era una specie di profeta, che quasi sempre non scriveva affatto, ma destinava le proprie considerazioni soltanto alla parola, sull'esempio di alcuni filosofi e profeti di chiara fama. Andava nei bar e in altri ritrovi di artisti. Una sorta di tazebao fonetico, che non lasciava traccia, se non nella memoria dei presenti. In questo modo, riusciva a incamerare un discreto apporto calorico e a strare al caldo e in compagnia per un po'. L'aspetto, il fisico, i lunghi silenzi rendevano la storia verosimile. Se c'era un solo critico verbale al mondo, questi era non poteva che essere Archi.
La vera svolta nell'esistenza grama di questo oscuro personaggio di contorno avvenne una sera, nel corso dell'inaugurazione di una mostra di Tano Festa. Tanta gente, molti giovani artisti e critici, attrici, mercanti, galleristi. Archi si era già collocato in prossimità del buffet, in modo studiatamente accidentale, fingendo di ascoltare le chiacchiere dei presenti, lui, che non mangiava da due giorni. Qualcuno lo prese di petto, forse troppo, rivolgendogli una domanda diretta su un tema che poteva essere l'identità sociale dell'artista rispetto alla sua opera, o forse il modo di interpretare la genuinità di uno stile o di alcune procedure tecniche in base a ciò che un'artista dice o, ancora meglio, vive. Stranamente, si fece silenzio. Forse la figura di Archi aveva sollevato troppi interrogativi. Chi era e cosa voleva? Non si era mai visto alle lezioni di Argan alla Sapienza, non era un artista, non si sapeva a quali riviste collaborasse. Fu un gesto in qualche modo crudele: il branco dell'arte contemporanea che fruga tra le sue pieghe alla ricerca dell'intruso, espressione autoimmunitaria di un mondo insopportabile (di odi secolari, cinismo, carrierismo) in cui tutti vogliono essere protagonisti, totalmente artificioso nelle sue modalità: il mondo che Archi avrebbe combattutto con tutte le forze.
Il silenzio avvolse i presenti per una decina di secondi, con la sua pesantezza insopportabile. Archi mosse lentamente un sopracciglio, socchiuse la bocca e profferì scandendo bene le parole, ma non troppo ritmicamente: "La vita è performance".
Scoppio un boato. Archi divenne per acclamazione la spina nel fianco di tutto, l'incarnazione del profeta che annuncia morte e distruzione dell'arte e dei suoi meccanismi, per cui è meglio tenerselo buono, vicino, come un barometro da guardare nel momento in cui ti stanno venendo dei dubbi sulla sopravvivenza di un sistema totalmente falso e basato sull'economia, che però ti fa comodo abitare. La vita è performance, l'arte non può esserlo. Non c'è bisogno di fare arte, perché la fai vivendo; certo, vivendo in un certo modo, il modo che consideri artistico, non quello artigianale e neanche quello industriale o burocratico. La vita è performance. Quell'uomo ci serviva: Il suono giallo avrebbe avuto un indiscusso protagonista. Ma non riuscivamo a rintracciarlo.
Saverio Bragantini
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