Fonte: Greenews
Fare arte in bicicletta. Intervista a Raphael Franco
Raphael Franco è un artista visivo brasiliano, nato a San Paolo e residente a Londra dal 2007. Nel suo lavoro esplora il rapporto tra uomo e natura, riflettendo sul modo in cui ci relazioniamo con il mondo fisico intorno a noi e lo trasformiamo. Entusiasta, comunicativo e curioso per natura, Raphael ha trascorso quattro mesi a Biella alla Fondazione Pistoletto Cittadellarte nell’ambito della residenza per artisti UNIDEE, realizzando un progetto artistico che unisce mobilità sostenibile, arte relazionale e ricerca psicogeografica.D) Raphael, che cosa hai realizzato a Biella in questi quattro mesi?
R) Tante cose… (ride) Io sono arrivato a Biella, sapendo poco del contesto in cui mi sarei trovato. Sapevo che avrei sviluppato un progetto artistico attraverso la bicicletta e il coinvolgimento della comunità. L’obiettivo principale era per me conoscere il territorio attraverso i suoi abitanti e conoscere le persone nel loro contesto, coinvolgerli nella mia ricerca. Il fine ultimo è quello di attivare un interesse nel permettere agli altri di guardare la loro stessa città in una modalità diversa e stimolarli ad andare in bicicletta insieme.
D) Il tuo progetto si chiama Cyclingscaping, che è una bella unione di termini come landscaping and cycling, una sorta di viaggio nel paesaggio però in bicicletta…
R) Il progetto si propone di approfondire le nozioni di identità visiva e i modi di vivere il paesaggio urbano e naturale attraverso l’interazione tra artisti, appassionati di bicicletta e gli abitanti di Biella di tutte le età. Tutto parte dalla bicicletta come mezzo di trasporto sano e green, e poi il resto si è svolto attraverso incontri informali e gite in bici in cui le persone hanno potuto raccontare e condividere con me e tra di loro le relative esperienze in merito alla città e i suoi dintorni, la sua storia e i suoi luoghi. Il risultato di questo progetto creativo e collaborativo è stato una mappa ciclistica informale di Biella e dintorni.
D) La bicicletta è dunque l’asse portante del tuo progetto…
R) La bicicletta è uno strumento significativo per lo sviluppo della mia ricerca, perché è green e sostenibile ma è anche sociale. E’ perfetta per immergersi nello spazio, sia urbano che naturale, in una modalità agile e discreta. Inoltre, aumenta la consapevolezza del nostro movimento all’interno dello spazio pubblico e come la prospettiva cambia in relazione alla posizione geografica. Nello stesso tempo è un mezzo che permette condivisione, è possibile parlare e dialogare mentre si va in bicicletta, è un mezzo “socievole”.
D) In macchina non succede, vero?
R) Se vai in macchina, non c’è un’interazione con lo spazio, è una scatola. La macchina permette una visione bidimensionale, vedi qualcosa come in un film, tu non sei dentro alla realtà, anche i suoni cambiano. Quando sei in bicicletta sei esposto, tutto cambia e interagisce con te. Il clima, il suono, i profumi. L’arte per me è sensoriale, tutti i cinque sensi devono rientrare nella mia arte. La bicicletta incarna una funzione del tuo corpo che riguarda uno scambio di cose, c’è uno scambio di energia, tu dai e ricevi energia con lo spazio. Senza invaderlo.
D) Cioè?
R) Pensa a città molto ben strutturate urbanisticamente, come Amsterdam, Copenaghen, Bordeaux. Sono città completamente armoniche. Perché? Perché c’è spazio per la bicicletta e ogni strada ha una pista ciclabile. In queste strade sono contemplati il passaggio di auto, tram, bus e biciclette. E’ democratico. La bici non occupa spazio, è un mezzo individuale. Se sei solo, guidi e poi parcheggi la macchina, in realtà stai occupando lo spazio di cinque persone – di cui quattro non ci sono! E’ stato recentemente condotto uno studio, a San Paolo, che dimostra come la maggioranza della popolazione che usa la macchina, vada da sola o con al massimo due persone: è uno spreco di spazio, di benzina, quindi uno spreco di energia che non è rinnovabile.
D) Quale impatto ha quest’esperienza sulla società? Tu parli di casi singoli, ma come può il grande pubblico essere influenzato da questa nuova modalità di pensare e muoversi?
R) Io sono interessato a un processo che si attiva. Penso di aver attivato una cosa nuova a Biella. Non stiamo parlando di grandi numeri, 30 persone sono state toccate direttamente e coinvolte dal mio progetto. A Biella adesso c’è più gente di prima che va in bicicletta, che guarda la sua città in un modo diverso. In qualche modo si è attivata una consapevolezza nuova. Ed è questo ciò che rimane, oltre ovviamente alla mappa che è anche importante. La mappa, che è il risultato di questi mesi di residenza, è importante perché apre possibilità, a chi non sa nulla del progetto, di capire cosa è successo. Ed è una mappa psicogeografica, e interattiva perché chiunque può apporre vari indicatori di gradimento, di pericolosità, sui luoghi che ritiene opportuni. Ma oltre alla mappa, ripeto, credo di aver mosso qualcosa nelle persone che ho incontrato e quello è il risultato più interessante per me.
D) Come vedono, i biellesi che hai conosciuto, il loro paesaggio?
R) Ecco quando si parla di paesaggio, ti dico una cosa curiosa. Io ho vissuto 22 anni a San Paolo e 4 anni a Londra. Quando io penso al paesaggio penso agli edifici, al paesaggio urbano. Quando chiedevo del paesaggio agli abitanti di Biella, per loro era la montagna. Quindi, natura. Quando ho scritto il progetto pensavo che avremmo lavorato sul paesaggio urbano, e invece quando sono arrivato, mi sono trovato di fronte una cultura completamente diversa dalla mia, e per me è stato una sfida, un motore diverso di indagine, perché io parlavo di paesaggio e la maggior parte delle persone rispondevano: montagna. L’atteggiamento delle persone riguardo a questa città è comunque controverso: da un lato c’è un rifiuto della città, dall’altro un amore verso Biella, verso i suoi edifici. Biella è piena di edifici di archeologia industriale, ma c’è un sacco di gente che non ama quest’architettura, mentre altri ne sono affascinati e li vedono pieni di potenziale.
D) Raccontaci della mappa. Cosa ne è venuto fuori?
R) Posso dividere i luoghi segnalati sulla mappa in 3 categorie: naturali, industriali e quelli legati alla bicicletta in senso stretto. Nei luoghi naturali ci sono le 3 riserve naturali, Baragge, Bessa e Burcina, poi come dicevo gli ex-edifici industriali. Tra i luoghi della bicicletta, invece, il più caro per me è “Gervasio”, che è una leggenda a Biella. Gervasio è un signore di 83 anni che da quando ne aveva 12, lavora con la bicicletta. Ha un ciclificio appena fuori città, che è il più grande del circondario. Lui lavora con famiglie, immigrati, studenti che usano quotidianamente questo mezzo, cioè con tutti coloro che usano la bicicletta come mezzo di trasporto. E’ un guru della bicicletta. Lavora da lunedì a venerdì al suo negozio e nel fine settimana esce con “la sua squadra”, di ben 60 atleti. Principalmente con bici da corsa ma anche mountain bikes. Grazie a lui ho sviluppato il progetto con un carretto, che poi è confluito in un video, esposto alla Fondazione. Ho legato alla bici un carretto e ho montato sul fondo del carretto uno specchio convesso rivolto verso la bici e di fronte la mia telecamera che girava il video. “Sistema di assorbimento del paesaggio” è un sistema semplice: catturare delle immagini. Quindi l’immagine nello specchio rifletteva me che andavo in bici e il paesaggio che vedevo, ma nello stesso tempo anche il paesaggio intorno allo specchio che era alle mie spalle e che circondava il carretto stesso. Una visione nella visione. Un gioco con la realtà e con il riflesso della realtà.
D) Qual è l’obiettivo del tuo modo di fare arte?
R) Mostrare che è possibile fare arte in modo non tradizionale, democratico, che coinvolga la comunità, in una modalità salutare, ecologica, divertente e anche costruttiva. Scoprire il posto dove vivi e magari guardarlo in maniera nuova. Il mio ruolo come artista è attivare. Attivare processi di cambiamento, del modo di vivere e di pensare. E’ un po’ utopico ma è possibile. Attivare consapevolezza, responsabilità. Vorrei portare quest’esperienza a Londra e poi a San Paolo, con un altro tipo di attività artistica, ma che parta da questa piccola esperienza di Biella, che è stato come un progetto pilota. Vi lascio con una parola: pedalpower!
Clara Iannarelli
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