Come si fa a morire così? Perché si deve morire così? Incidenti stradali terribili accadono tutti i giorni, purtroppo. Ma nessuno riesce a immaginare l’inferno in cui precipita il nostro cuore, finché non lo prova in prima persona
Il lutto è un’esperienza tragica per tutti. Credo che lo sia ancora di più per una donna che perde la madre. Specialmente quando accade in modo imprevisto, drammatico, ingiusto. Non passa un solo giorno senza che mi ritrovi a fare i conti con la presenza assente di mia madre e con i contraccolpi terribili che la sua morte ha avuto su di me e sulla mia famiglia. E vorrei avere più fede per trovare un po’ di pace.
“Sono stanco di vivere senza la mamma. Non vedo l’ora di raggiungerla”, mi ha detto mio padre al telefono qualche giorno fa. Il 16 dicembre i miei genitori avrebbero festeggiato 49 anni di matrimonio: quasi mezzo secolo insieme. Non ce l’hanno fatta, perché mia madre è morta in un incidente stradale a febbraio. Sono passati undici mesi dalla morte di mia madre: a volte sembra ieri, a volte un secolo fa. Ma il dolore non si attenua. E come potrebbe? Accade il contrario, il vuoto per la sua mancanza cresce di giorno in giorno. Per tutti noi. Perché Giuseppina Licenziato non era soltanto una donna travolta e uccisa da un tir il 3 febbraio 2011 mentre pedalava in bicicletta in prossimità delle strisce pedonali a Roma, come hanno scritto i giornali. E’ una descrizione riduttiva e troppo semplice, che non racconta chi era veramente Pina, come era conosciuta da tutti: la super moglie-mamma-nonna che oggi ci manca terribilmente.
Mia madre aveva 70 anni ma sembrava una ragazza, non solo per l’energia e la forza che aveva in corpo, ma anche per come si vestiva abitualmente: con blu jeans, pullover e scarpe sportive, nessuno avrebbe immaginato la sua età. Sempre in giro in bicicletta, perché così si teneva in forma. E in forma lo era davvero, senza quegli acciacchi che talvolta tormentano quando una persona supera una certa età anagrafica. Anzi, negli ultimi anni, la mamma sembrava ringiovanita, grazie all’arrivo dei nipotini, Alessandro e Chiara, che oggi hanno 4 e 2 anni. Il regalo più bello, mi ha sempre ripetuto, perché non vedeva l’ora di diventare nonna. Per lei era come una vocazione occuparsi delle persone a cui voleva bene. Intorno a marito e figli la mamma ha costruito tutta la sua vita, poi gioiosamente rivoluzionata dall’arrivo dei nipotini.
E’ stato per poter vedere e parlare tutti i giorni con Alex e Chiara che mia madre all’improvviso ha deciso di imparare a usare il computer. Sorprendendo tutti.
Grazie a Skype chiamava tutti i giorni i bambini a Milano e passava quasi un’ora a fare il pagliaccio davanti alla telecamera, per farli mangiare e divertire. Non si stancava mai di farli ridere.
La mamma ha imparato a usare l’email per mandarmi consigli e chiedermi notizie e informazioni, perché il telefono non le bastava. Eppure ci sentivamo tutte le mattine, anche più volte al giorno. E se qualche volta ritardavo nel chiamarla, mi telefonava lei allarmata, preoccupata che fosse successo qualcosa.
E’ stato per aiutarmi quando ero al sesto mese di gravidanza, in attesa di Chiara, mentre Alessandro aveva solo 18 mesi, che la mamma ha deciso di raggiungermi per 10 giorni a Siesta Key, in Florida, dove eravamo in vacanza. E’ venuta da sola sfidando tutto e tutti. Ha preso un aereo a Roma con coincidenza a Washington per Tampa e, senza parlare una parola di inglese, è arrivata a destinazione. Senza il minimo contrattempo. Idem al ritorno.
La famiglia era al centro della sua vita. Sebbene non più ragazzini, la mamma era sempre in pensiero per i figli, per me, per Manu, per Marco e, dopo il loro arrivo, per i nipotini. Ma anche per papà. Ogni volta che veniva a Milano a trovarmi, la mamma chiamava mio padre almeno quattro volte al giorno, al telefonino o con il pc, per chiedergli se aveva mangiato, se aveva preso la pillolina per la pressione alta e altre piccole cose, che a me sembravano esagerazioni ma che appartenevano alla loro quotidianità e alla loro vita in comune, coltivata in oltre 48 anni di matrimonio. La mamma portava tutte le mattine il caffè a letto a papà, senza per questo sentirsi sminuita: lo faceva con amore. Come quando gli aggiungeva l’olio crudo sulle lenticchie o il parmigiano sul minestrone. Era fatta così, erano abituati così.
E mio padre dipendeva in tutto e per tutto da lei, anche emotivamente: la mamma era la sua interfaccia con il mondo esterno.
Non frequentavano molti amici, perché si bastavano a vicenda: sempre insieme a pranzo o a cena, a fare shopping o semplicemente a guardare la tv. Da quando la mamma se ne è andata, papà ha perso 12 chili insieme alla voglia di vivere. E si è rinchiuso in casa ancora di più.
E’ come se i miei bambini avessero perso anche il nonno insieme alla nonna che adoravano, perché la nonna passava ore e ore a giocare con loro.
Era stata lei a insegnare ad Alex a giocare a nascondino e tante altre cose, come le filastrocche e le canzoni che aveva cantato anche a noi quando eravamo piccoli.
Per mesi Alessandro mi ha chiesto: “Dov’è la nonna?”. E io non ho saputo cosa rispondere.
Poi, dopo aver consultato la sua pediatra, gli ho raccontato la verità. Continuo a far vedere ai bambini le foto e i video della nonna, perché non voglio che si dimentichino di lei. Ma sono così piccoli che prima o poi accadrà. Mi angoscia sapere che i bambini cresceranno senza l’esempio e l’amore infinito della loro nonna. Ma la tortura più grande è il pensiero che mia madre non ha avuto abbastanza tempo per godersi i suoi nipotini e vederli crescere. I bimbi erano la gioia della sua vita e per loro avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche attraversare l’Oceano da sola o domare la tecnologia.
La mamma mi manca profondamente. Contavo su di lei quando qualcosa di grave accadeva, come quando i bimbi si sono presi il rota-virus (Chiara aveva solo 9 mesi) e sono stati ricoverati con la flebo per una settimana all’ospedale: la mamma è arriva in soccorso per stare all’ospedale giorno e notte con me e i bambini. Contavo sulla mamma quando volevo prendermi una pausa: come quando lei e papà, lo scorso ottobre, sono venuti a New York, dove trascorriamo l’autunno perché mio marito Mike insegna alla New York University, e si sono presi cura dei bambini per una settimana per permettere a me e a Mike di andare a Shanghai per la cerimonia di chiusura dell’Expo, il primo viaggio da soli dalla nascita di Chiara. Contavo sulla mamma se non ricordavo bene una ricetta o se avevo un dubbio di qualsiasi tipo, perché sapevo che era sempre disponibile ad ascoltarmi e a darmi un consiglio. La sua assenza è una sofferenza infinita. E soltanto i bimbi mi distraggono dal pensiero fisso della sua morte ingiusta e inaccettabile.
Credo che per mia sorella Emanuela, single, senza un compagno e senza figli, la sua morte sia anche una mancanza fisica, oltre che affettiva. Manu, che vive a Roma, andava tutti i weekend a pranzo dai miei genitori e ogni sabato pomeriggio usciva con mia madre per fare shopping o anche solo per guardare e commentare insieme le vetrine dei negozi insieme. La mamma era sempre pronta a intervenire in suo aiuto: quando si rompeva qualcosa a casa sua e doveva aspettare il tecnico al suo posto, quando doveva sbrigare commissioni che mia sorella le affidava per mancanza di tempo, quando doveva annaffiare le piante in sua assenza. E la domenica pomeriggio, dopo il pranzo insieme, Manu si portava sempre a casa un po’ del ragù o dell’arrosto cucinato dalla mamma da consumare in settimana.
Non ci sono parole per raccontare il dolore immenso che noi figli proviamo ora che siamo orfani della mamma. Perché la mamma è sempre la mamma e la nostra mamma era una mamma meravigliosa e noi l’abbiamo persa all’improvviso, in modo tragico, inaudito. Però, da figlia, non riesco a immaginare come papà riesca a sopravvivere allo strazio della sua assenza. Non so come faccia ad addormentarsi ogni sera e a svegliarsi ogni mattino senza vederla al suo fianco. Non so come possa reinventarsi un’esistenza quando già immaginava di invecchiare con l’amore della sua vita, un amore grande e totalizzante. Non so come papà riesca a convivere con il ricordo di quel 3 febbraio quando, non vedendo la mamma tornare a casa, è sceso in strada a cercarla. E l’ha trovata morta per la strada, sotto un lenzuolo insanguinato, perché l’autista di un tir enorme dice di non averla vista mentre lei attraversava in bicicletta in pieno giorno, vicino alle strisce pedonali. Il suo cappellino viola era a pochi passi da lei. La bicicletta incastrata sotto il camion parecchi metri avanti.
Come si fa a morire così? Perché si deve morire così? Incidenti stradali terribili accadono tutti i giorni, purtroppo. Ma nessuno riesce a immaginare l’inferno in cui precipita il nostro cuore, finché non lo prova in prima persona. Forse bisognerebbe colpire con più severità chi distrugge non solo una vita ma una famiglia intera. Per sempre.
Cosa possiamo fare per cambiare le cose? Cosa suggerite di fare?
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