giovedì 29 settembre 2011

Friedrich von Archimboldi, Fruttiera (2006)
Drill and press. Senza colle, senza chiodi, come nelle mobilia rinascimentali. Riusando le bacchette dei ristoranti cinesi e, in casi di gruzzoli più consistenti, giapponesi. Intrecciandole, come un tessuto. Flessioni strutturali atte ad arginare frutta di una certa dimensione, con un carico di rottura che ne sconsiglia la saturazione, perché la frutta va mangiata, sennò va a male e tenerla in frigo non vale: tanto Archi non lo possiede, quindi il problema è risolto.
Aria di palafitta, di precarietà perenne, la stessa delle vitamine e del Dao che non capiamo mai.
Ora basta.

Saverio Bragantini

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ecco che cosa lo rende unico, la precarietà. Deve essere questa la condizione irrinunciabile per l'artista che crea, il terreno instabile che alimenta il genio, e che nell'occhio di chi guarda si trasforma in stupore.
Smoothband

ha detto...

Molto poetiche, le sue considerazioni, ma da quello che ho capito Archi non si considera un artista.

Anonimo ha detto...

« Continuo ad allontanarmi dai tradizionali strumenti del pittore come cavalletto, tavolozza, pennelli ecc. Preferisco bastoncini, cazzuole, coltelli e lasciar colare il colore oppure un impasto fatto anche con sabbia, frammenti di vetro o altri materiali. » Jackson Pollock
Archi non si considera un artista, ma secondo me lo è, anche se mi rendo conto che non è affatto importante.
Smoothband

ha detto...

Eccellente citazione. La tavolozza di Archi è la discarica: non è il primo, e non sarà l'ultimo.

SB