Ricevo da Andrea Segre e Stefano Liberti, e volentieri pubblico:
PER YUSUF
Pochi minuti fa ci ha chiamato Yusuf Aminu Baba.
E' un ragazzo nigeriano di 30 anni. Migrante.
E' il protagonista di A SUD di LAMPEDUSA, il documentario che abbiamo girato insieme 5 anni fa nel deserto del Niger.
Da allora ogni tanto ci chiama, per salutarci.
Questa volta la telefonata non era uguale alle altre.
Ci ha detto: "Sono a Zuwarah, sulla costa libica, tra poche ore partirò per Lampedusa. Pregate per me. Ho bisogno delle vostre preghiere e dell'aiuto di Dio".
Gli abbiamo detto: "Non partire, è pericoloso". Lui ci ha detto: "Stare qui è più pericoloso".
Yusuf partirà. Forse è già partito mentre leggete queste righe. Chissà se mai arriverà o se finirà come molti altri inghiottito dal Mediterraneo.
E dall'indifferenza.
Non c'è più spazio per strategie diversive. Dobbiamo essere chiari e definitivi: la vita umana ha per noi europei ancora un valore indipendentemente dall'origine etnica?
Dobbiamo solo rispondere a questa domanda. Se la risposta è sì, c'è un'unica cosa da fare: avviare immediatamente tutte le procedure per organizzare corridoi umanitari che aiutino i profughi a fuggire dalla guerra in Libia anche via mare.
Se invece non lo facciamo e lasciamo che il loro destino sia la Libia o il rischio mortale del barcone, allora abbiamo risposto no a questa domanda.
La tv libica ha informato gli stranieri africani presenti nel territorio nazionale che possono lasciare la Libia come e quando vogliono. Tutti coloro che vogliono fuggire lo possono fare. Come lo fanno?
O via terra verso Tunisia ed Egitto.
O via mare verso l'Italia.
Partono.
Partono comunque.
Partono perché il regime che è stato nostro grande amico fino a due mesi fa e che oggi in modo confuso bombardiamo, dopo averli sfruttati, detenuti, isolati, deportati, ora li fa partire.
Cosa dobbiamo fare?
Fregarcene e farli morire, facendo finta che la nostra strategia politica degli ultimi anni sia stata un grande successo disturbato da un incidente di percorso non previsto? E’ un’opzione, ma allora dobbiamo dirlo chiaramente: la storia della nostra civiltà è cambiata, la vita umana non ha valore in sé. Oppure, se ancora crediamo al valore della vita umana, tentiamo di attivare quella che dalla seconda guerra mondiale a oggi è la naturale conseguenza di un conflitto: aiutare i civili a fuggire, dare un rifugio ai civili, indipendentemente dalla loro razza, dalla loro religione e dalla loro cultura. Azione umanitaria, così si chiama: umanitaria (chiediamo scusa, ma è diventato necessario spiegarlo).
Si dirà: "Eh, ma come si fa? Gheddafi non ci lascia farlo". E' una scusa inaccettabile. Tutti gli sforzi diplomatici, attraverso le istituzioni internazionali, vanno attivati. E va fatto pubblicamente: i cittadini europei, italiani in testa, devono sapere che i governi stanno cercando di salvare quelle vite umane. E' una questione culturale e civile imprescindibile per il futuro della nostra dignità. Se ci saranno motivi concreti d’impedimento, se ne discuterà. Ma intanto se vogliamo rispondere sì a quella domanda questo è ciò che bisogna tentare di fare subito: traghetti umanitari dalla Libia per aiutare i profughi a fuggire.
Che ne pensa il PD, il più grande partito di opposizione progressista in Italia? Ha il coraggio a pochi giorni dalle elezioni amministrative di rispondere sì a questa domanda?
Se lo ha, si faccia portavoce di questa richiesta umanitaria fondamentale. Se pensa di avere dei rischi elettorali in un Paese ormai scavato dall'intolleranza seminata ovunque dalla piccolezza leghista, lo faccia anche solo con uno slogan umanamente minimo, ma almeno evidente: "Partono comunque, salviamoli".
E' l'ultimo stadio. Proviamo a non rinunciarci.
Mentre leggete queste righe Yusuf potrebbe essere già partito. Arriverà a Lampedusa o finirà in fondo al mare? Provate solo un secondo a porvi questa domanda e vedrete che dietro ce n’è un’altra, che investe nel profondo la nostra cultura e interroga il futuro che vorremmo consegnare ai nostri figli: ha ancora un valore la vita umana?
Stefano Liberti e Andrea Segre
Nessun commento:
Posta un commento