Ho appena pubblicato un pezzo di presentazione del Manuale di resistenza del ciclista urbano. È uscito sul numero 100 della rivista letteraria Ellin Selae, che da anni viene pubblicata grazie alla stoica dedizione di Franco Del Moro.
La copertina del n. 100 di Ellin Selae |
è una tenace testimonianza intellettuale e anche un segno d'affetto per la carta, come veicolo di scrittura, lettura e immagine, questa rivista che, bizzarramente, ha scelto di avere i numeri di pagina al contrario. Mi ricordo quando vidi i primi numeri. All'epoca c'erano molte riviste letterarie. Il web era ancora vuoto.
Bisognava andare da Feltrinelli a sfogliare le riviste letterarie a sbafo, ricopiando gli indirizzi delle redazioni senza farsi (troppo) vedere, per poi proporre i propri testi. Ce n'erano di bellissime; adesso ne sono rimaste poche, questa addirittura spegne cento candeline. Ecco il mio testo (attenzione, contiene anche materiale ironico):
Bisognava andare da Feltrinelli a sfogliare le riviste letterarie a sbafo, ricopiando gli indirizzi delle redazioni senza farsi (troppo) vedere, per poi proporre i propri testi. Ce n'erano di bellissime; adesso ne sono rimaste poche, questa addirittura spegne cento candeline. Ecco il mio testo (attenzione, contiene anche materiale ironico):
“Beato te che pui pedalare...”. “Ma come fai con il sudore, il freddo, le salite, il traffico”. “In Olanda sì che possono usare la bici, oppure a Mantova, Ferrara; ma noi con questo traffico come facciamo?”.
A Roma non si può usare la bici perché ci sono i sampietrini e i sette colli”. A questo punto, di solito, Monte Mario e il Gianicolo vengono arruolati a forza tra i sette colli della Roma antica, piccoli dossi nel caos urbano della Capitale. “Come faccio al lavoro, se arrivo sudato”. E via discorrendo, a ribadire l’impossibilità di spostarsi in bici nelle città. No, non è pigrizia, assolutamente. Dipende dalle condizioni ambientali, dagli altri che si comportano male alla guida dei mezzi motorizzati. È la pigrizia della gente che mi condanna a essere pigro, ad adeguarmi. Io farei un macello, con la tutina da supereroe andrei in bici tutto il giorno. Ma non me lo permettono...
A tutto questo non c’è scampo. I treni urbani e la metropolitana servono a poca gente, gli autobus non passano mai, le auto sono costrette a interminabili file, il prezzo della benzina sale a capriccio dei petrolieri, che ormai hanno capito che nessuno rinuncerà all’auto, a costo di fare a meno di qualche sfizio alimentare. La rabbia sale negli abitacoli, il traffico raggiunge sempre più spesso livelli di saturazione insuperabile. Code di auto, auto in sosta in secopnda e terza fila si aggregano in una melassa indistinguibile. Le città sono a rischio infarto, al tracollo finale di un sistema che non si vuole gestire. Ma soltanto gli studenti, i disoccupati, gli anziani squattrinati e gli eccentrici decidono di dare una svolta alla propria vita. E che racconti, belli e brutti, fanno i ciclisti urbani! Nessuno sembra pentito, perché muoversi a pedali implica una qualche forma di passione o visione del mondo, almeno quella dal sellino, che è diversa. Da passione, la bici in città diventa abitudine e alla fine necessità. Il corpo si abitua presto. In Africa persone sottonutrite in sella alla loro bici a rapporto singolo percorrono nella foresta tropicale fino a 600 Km per trasportare benzina e farina da rivendere. Poi ripartono. Fino agli anni Cinquanta, moltissimi ciclisti sportivi, non affermati e a corto di soldi, partivano da casa in sella, si facevano 2-300 Km, gareggiavano in una corsa di 2-300 chilometri e tornavano a casa.
Di fronte alle esperienze di un ciclista urbano, non un eroe del nostro tempo, ma un semplice cittadino che non inquina, la reazione delle persone che non pedalano è di allontanamento del concetto. La fatica fisica fa paura alla nostra società quasi quanto la morte. Per questo conoscono un effimero successo certe strane ginnastiche e diete che promettono risultati eccezionali senza sforzo. Abbiamo perduto il contatto con il significato educativo, profondo, della fatica. Si va in vetta alla montagna in elicottero, in funivia. Si vorrebbe arrivare in automobile fino all’entrata della bellissima grotta o dell’ufficio. Persino l’apertura manuale di un cancello viene evitata mediante costosi, e fragili, apparati azionabili con un telecomando. Se ristrutturi la casa, ti guardano male se non vuoi le tapparelle elettriche; se manca l’elettricità resti al buio come uno scemo, anche di giorno. Dalla vendita degli idrocarburi guadagnano in tanti; lo stato riscuote sostanziose accise, che non vengono impiegate per migliorare l’ambiente e la mobilità non inquinante.
Da più di vent’anni esistono in Italia leggi riguardanti la mobilità ciclistica che non vengono applicate, salvo qualche felice eccezione, ben circoscritta. Leggi fatte per adeguarsi formalmente all’Unione Europea. Gli incompetenti evocano i soliti paradisi danesi e olandesi, le cittadine virtuosissime del Nord Italia. È solo ignoranza, poiché New York, Berlino, Londra, Parigi negli ultimi anni sono state stravolte a favore della ciclabilità e i pedalatori sono in rapida ascesa.
Da noi è meglio che prevalga il fai da te. In attesa di tempi migliori, non aspettate che qualcuno vi aiuti.
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