Di chi è la bici? Non è di nessuno, perché è di tutti.
Bici e pubblicità: un’accoppiata irresistibile
Simbolo e veicolo di libertà, la bicicletta si presta bene a far pedalare anche la comunicazione pubblicitaria, nei più disparati settori. Infatti, nonostante l’esiguo numero dei ciclisti praticanti, colpisce la frequenza con cui il mondo pubblicitario utilizza l’immagine della bici per promuovere i prodotti più disparati. Nell’immaginario collettivo, quindi, l’idea astratta della bicicletta – privata della fatica, anche quella mentale che si richiede all’inizio per cambiar abitudine – sembra prevalere sull’uso che effettivamente se ne fa come mezzo di locomozione quotidiano. In altre parole, si attribuiscono alla bici qualità immaginali e simboliche che forse vanno a pescare nella nostra infanzia, in desideri inattuati e speranze di dimagrimento e salubrità, forse di vita eterna, per promuovere tutt’altro prodotto, a volte persino un’automobile.
Faccio un esempio: le scarpe Melluso Walk. All’interno di una sagoma di scarpa, un cicloturista percorre un tratto erboso (L’Espresso, 9 ottobre 2008). Che l’idea di libertà venga associata alla bici è abbastanza naturale. Il fatto di poter pedalare dove ti pare è la prima manifestazione di quella possibilità di scelta che ti viene data da bambino. In molti di noi, rimane stampato nella coscienza il ricordo di quando imparammo ad andare in bici senza rotelle, prima e autentica festa di iniziazione.
Con il succedersi delle generazioni, l’idea della bici “libera” sembra reggere, nonostante tutto. Ma su di essa si accaniscono le rapaci mani dei pubblicitari, delle griffe, e anche di coloro che rivendicano marchi di qualità per questo mezzo di trasporto, alla ricerca di standard aggiuntivi che in definitiva facciano lievitare i prezzi.
La bicicletta per i pubblicitari è un po’ come le donne nude: va bene per tutto. Fiutata l’aria, la bici è stata piegata ai più oscuri desideri degli stilisti. Bici griffate hanno prodotto, fra gli altri, Trussardi, Armani, Chanel e Gucci, ovviamente con prezzi esorbitanti e materialmente ingiustificati. A essere venduto è il marchio: nessuno produce le bici che vende, si tratta solo di apporre l’etichetta a prodotti di discreta, forse anche buona, qualità, ma altrove in vendita a prezzi decisamente inferiori.
Un altro aspetto abbastanza inquietante di questo branding posticcio è l’imposizione di marchi automobilistici o motociclistici alle biciclette. La bici si tramuta, paradossalmente, nel veicolo ideale per proporre l’acquisto di automobili. La pubblicità di automobili, come sappiamo, è una grancassa che rintrona i telespettatori dalla mattina alla sera e costituisce un’enorme fetta del mercato, peraltro perennemente a corto di idee; si tratta, visibilmente, di un settore in forte crisi di identità, di fronte al nefasto ruolo del prodotto pubblicizzato nella strage annuale di pedoni e passeggeri, nei morti e feriti per inquinamento, nelle guerre per il petrolio, nelle crisi finanziarie procurate dalle speculazioni dell’industria petrolifera, nello sviluppo di patologie cardiocircolatorie, del diabete, nei bilanci familiari, ecc. «La libertà di andare dove si vuole», rivendicata una volta, in un anniversario della Fiat, da Gianni Agnelli come la vera conquista dell’auto popolare, è da tempo passata in secondo piano di fronte ai cronici intasamenti metropolitani e alle code estenuanti dei week end. Non si va più da nessuna parte, o ci si va a caro prezzo.
Abbandonata l’idea di proporre l’auto come rumorosa e potente appendice delle proprie limitate capacità individuali, secondo la vecchia scuola, nel giro di pochi anni, i pubblicitari hanno reinventato un mondo virtuale fatto di auto silenziosissime, non inquinanti, che scivolano su deserti, montagne, praterie, scogliere e su strade totalmente vuote, prive di persone e di altri mezzi, auto che volano, vanno a vela, ecc.; insomma, un mondo puramente immaginario di cui l’auto è la chiave d’accesso. In questo contesto, nasce l’idea dell’auto ecologica, che non inquina, che ti fa sentire a posto con la coscienza, che è quasi una bicicletta, ma senza la fatica di pedalare. Non a caso, la lista delle apparizioni della bici nella pubblicità delle automobili è diventata piuttosto lunga; si va dalla auto con portabici estraibile (Opel Corsa), all’iniziativa di un’auto più una bici in regalo. In una pubblicità della Wolkswagen, apparsa nel 2005 sui periodici italiani (l’abbiamo rintracciata su un numero di National Geographic Italia, agosto 2005) figura sulla destra un bambino che guarda la sua bici e dice “Alzati, sellino!”, mentre a sinistra campeggia il modello Passat “con sedili a 12 regolazioni elettriche, senza scatti in verticale e in orizzontale” […]. “Nuova Passat. Facile abituarsi al lusso”. Inutile commentare. Lusso, comodità e tanti buoni propositi ideali. In altri contesti, e in nome della stessa visione purificata dell’auto, la bici emerge come suo completamento. Nel 2008, la Mercedes Benz di Roma ha offerto una bici gratis a coloro che avrebbero acquistato un’auto nella settimana tra il 7 e il 12 luglio. La bici è denominata Mercedes-Benz Fitness Bike; un autentico gioiello di tecnologia, sta scritto nella réclame. Interessante anche la pubblicità televisiva dell’automobile Smart, vista il 3 ottobre 2008 su Raitre: una Smart si alterna nelle immagini a un inconfondibile ciclista urbano che pedala energicamente in una città tecnologica e, come sempre, molto astratta.
Anche la bici firmata da Pininfarina, una mountain bike verde e grigia di cui non a caso è piena l’Italia, è nata in qualche modo dalle automobili, essendo stata distribuita con la raccolta punti della benzina Esso. Ogni tanto capita di vederne una in vendita a prezzi spropositati su Ebay (fino a 200 euro).
Tornando a parlare di marchi e status symbol, un discorso a parte meritano le bici di lusso; è il caso delle biciclette siciliane Montante, un marchio storico recuperato recentemente. Si tratta di bici di qualità vendute a oltre 2000 euro: “un oggetto prestigioso per le tue passeggiate al mare o in campagna”, potrebbe essere l’asettica didascalia di questi oggetti, da collocare al fianco di orologi e penne stilografiche. Ai fini del discorso che ci interessa questo tipo di operazioni e il ciclismo sportivo si equivalgono, ossia non c’entrano nulla con la promozione della bicicletta in città.
Sono frequentissime, peraltro, le operazioni commerciali legate alla bici. In una recente proposta, la banca Intesa Sanpaolo ha lanciato per i suoi dipendenti l’iniziativa “Bicinbanca”; una proposta d’acquisto per una bici “appositamente realizzata” per il gruppo bancario. Si legge nel comunicato del 10 novembre 2008: «A pochi mesi dalla creazione di una flotta sperimentale con 130 biciclette aziendali, i dati di utilizzo (oltre 130 utilizzi nell’ultima settimana) confermano la crescente diffusione del mezzo sia per esigenze di servizio che per il tempo libero, anche al di fuori della bella stagione, con benefici in termini di riduzione emissioni». L’idea della banca è stata quella di offrire ai dipendenti la possibilità di acquistare una bici dalle “medesime caratteristiche e design”; la bici è offerta nelle versioni per uomo e per donna, ed è personalizzabile con vari accessori. Nonostante i molto sommari riferimenti ai benefici effetti della bici sull’ambiente, l’iniziativa sarebbe lodevole e in linea con le recenti tendenze aziendali rivolte alla promozione della mobilità alternativa ; però, dando uno sguardo al prezzo della bici, sorge qualche dubbio, con quei 388 euro, iva e trasporto inclusi, non molto incentivanti. Il prezzo potrà forse essere anche quello giusto, anche se ci è ignoto il fabbricante del mezzo, ma se si vuole davvero pedalare, come vedremo, si può spendere molto meno, con un minimo di iniziativa personale.
Il turbinìo di marchi, appropriazioni indebite e operazioni commerciali, attorno a un mezzo plasmato da inventori più o meno oscuri, finisce per far pensare allo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali: «Non esiste nessuna risorsa naturale che non si trasformi in un marchio». Anche un mezzo che da decenni funziona a meraviglia viene piegato alle più strane esigenze del mercato.
Tornando all’aspetto immaginativo che circonda la bici, va notato che diversi progettisti si sono buttati a capofitto nel disegno di nuovi prototipi, incuranti del fatto che è molto difficile inventarsi qualcosa di nuovo in questo campo. Da decenni si lavora sul peso e la resistenza dei singoli componenti, mentre le forme del telaio sono più stabili. Eppure, di frequente, su giornali e riviste appare a mo’ di curiosita l’immagine di qualche nuovo progetto di due ruote; è il caso del prototipo di bici avveniristica realizzato da Alberto Del Biondi, con ruote con cerchi perimetrale e priva di cavi a vista, in carbonio e nivacrom, una lega d’acciaio leggera, oppure gli straordinari modelli progettati negli anni da Mike Burrows.
D’altra parte, essendo un mezzo meccanicamente perfetto (si veda il brano di Ivan Illich), è frequente anche il reimpiego o la riesumazione di vecchie tecnologie su mezzi nuovi; comunque, è senz’altro un fatto positivo che la bicicletta continui a far lavorare l’immaginazione di molte persone.
Quanto detto non significa ridimensionare l’importanza delle più disparate attività per la promozione della bici. Si arriva a scoprire un’insospettabile saggezza nei luoghi più impensabili. Ma, ancora una volta, l’ingrediente fondamentale, che fa la differenza, è la conoscenza concreta della bici come mezzo di locomozione.
In questo senso, un esempio totalmente insapettato ci viene dalla lettura di First, supplemento di “lusso” di Panorama, del 23 maggio 2008, contenente un’intervista ad Agostino Poletto di Carla Brazzoli. Poletto è il vicedirettore generale di Pitti: l’edizione 2008 di Pittiuomo si intitola “Freecycle/Freemobility”, e la bici fa da filo rosso a tutta la manifestazione. Insospettabilmente, Poletto conosce a fondo l’argomento, essendo ciclista. Ebbene, su una rivista patinata, che propone merci costosissime per pubblici ristretti e frustrati, emerge un quadro che più chiaro non potrebbe essere. Afferma Poletto: «[La bici] è il fenomeno emergente. […] Non è più concepita come un semplice strumento di locomozione, ma sta diventando un simbolo di estetica quotidiana riconosciuto da una tribù globale». Poletto prosegue citando il Bike Film Festival (rassegna mondiale di film dedicati alla bici, che si può vedere anche a Milano e a Roma), la Critical mass, le ciclofficine, i messengers, i PediCab (taxi a pedali londinesi) e il bike sharing. Poletto parla come un ciclista urbano responsabile più che come responsabile di una kermesse che usa la bici per farsi bella: una cosa non esclude l’altra, ovviamente.
Le ragioni del successo in Francia del bike sharing risiedono non tanto nel fatto che si sono messe a disposizione 20 mila bici, creando dei percorsi, prosegue Poletto, quanto piuttosto che si “è cercato di far convivere le bici in un’organizzazione stradale che contemplasse gli altri mezzi. Auto, moto e bici devono condividere gli spazi urbani […]. Eppoi la frase illuminante, che esprime concetti ancora non pienamente compresi neanche da alcune associazioni di ciclisti. «Bisogna superare l’idea che si possa sviluppare il progetto della mobilità a pedali soltanto con le piste ciclabili. Anche perché spesso di difficile realizzazione: la gran parte delle nostre città è di medie dimensioni e con centri storici intoccabili. Penserei quindi più a un progetto integrato che a un progetto dedicato, come potrebbe essere la ciclabile appunto».
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