I problemi del ciclismo urbano in Italia sono uguali un po' dovunque e cronici. Leggo con interesse il comunicato dell'associazione milanese Ciclobby (i sottolineati sono miei per quei giovani abituati ai post di tre righe e agli sms).
«C’è da restare allibiti ascoltando le affermazioni di chi, da assessore, sostiene – quasi fosse rientrato oggi dopo un lungo viaggio nell’iperspazio – che «Se vogliamo una città più aperta alle biciclette, dobbiamo cambiare approccio e smettere di pensare in termini di infrastrutture, altrimenti i costi, i tempi e i disagi non renderanno mai realizzabile il disegno».
Allibiti, ma anche un po’ offesi, perché certe parole suonano come un’ennesima presa in giro dei cittadini. I quali, anche attraverso le associazioni di utenti, da almeno venti anni con pazienza e tenacia insistono sulla necessità di pensare a una città che sia resa interamente permeabile all’utilizzo diffuso della bici, in condizioni di sicurezza, e che, per raggiungere questo obiettivo, non bisogna continuare a parlare di piste ciclabili.
Oltretutto, a Milano se ne parla, e basta (ricordiamo il piano di rete di 300 km approvato nel 1980 dal Consiglio comunale e rimasto sulla carta). Adesso sembra essere in auge il modello berlinese...
Le migliori esperienze europee e italiane dimostrano che una buona ciclabilità nasce da un mix di ingredienti [vedi anche il mio post di ieri su New York]. Ma anche da un metodo che richiede un’attenzione costante volta a favorire la circolazione delle bici, con grande pragmatismo e con il senso dell’urgenza.
Dopo quattro anni e mezzo di governo, e una infinita serie di annunci e di buone intenzioni, all’approssimarsi della fine di un mandato, la credibilità di un Amministratore pubblico si misura non sugli impegni e sulle promesse bensì sulle realizzazioni. E la triste realtà è che a Milano queste mancano.
Perché, alla radice, manca (è mancata) la volontà politica che dovrebbe supportare il cambiamento.
Vien da chiedersi, assumendo alla lettera le opinioni ora manifestate dall’assessore Masseroli, perché non vi abbia provveduto prima, anziché proclamare un ulteriore studio sul tema, rinviando nuovamente a un imprecisato futuro le realizzazioni.
Vorrei ricordare che la nostra associazione ha collaborato volontariamente, su richiesta dell’allora assessore Croci, alla redazione del Piano della Mobilità Ciclistica, che avrebbe dovuto rappresentare la volontà e la visione dell’Amministrazione comunale, con un impegno pubblico condiviso, sui temi della ciclabilità. In quel piano, pronto già nel 2007, erano contenuti anche interventi leggeri come quelli che ora cita l’assessore Masseroli.
Peccato che il documento sia rimasto nei cassetti: forse è il tempo di tirarlo fuori, farlo conoscere ai cittadini e soprattutto di lavorare senza altri inutili proclami. Che oltretutto, ormai a ridosso di nuovi appuntamenti elettorali, appaiono vagamente strumentali.
Anche l’affermazione che «non esiste contrapposizione fra auto e ciclisti» suona mistificatoria. In una città che ha un tasso di motorizzazione doppio rispetto alle altre città europee (70-80 auto ogni 100 abitanti contro una media europea di 30-40 auto ogni 100 abitanti) il problema si pone, eccome. Innanzitutto per una questione di leggi fisiche: lo spazio è un bene limitato.
E questo chiama in causa valutazioni e scelte che sono innanzitutto politiche, su cui è inutile cercare scorciatoie ed alibi. Occorre chiedersi: che tipo di città vogliamo? Una città per le auto o una città per le persone? Ma questo dovrebbe essere un punto di partenza, non di arrivo.
E’ tempo che ognuno si assuma le proprie responsabilità».
Eugenio Galli (presidente Fiab CICLOBBY onlus)
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