martedì 13 maggio 2008

Cosa dovrebbe fare un mobility manager

La figura del mobility manager è sempre più conosciuta: è un dirigente (manager) incaricato da un’azienda di gestire la mobilità (mobility) dei lavoratori da e per il luogo di lavoro. Quindi, nella lingua di Dante, mobility manager significa “dirigente della mobilità”. In alcuni paesi europei è stato licenziato perché la mobilità è ormai perfetta. Pensiamo al Nord Europa meno densamente popolato e meglio organizzato. Da noi stenta ancora ad affermarsi ed è impegnato in progetti quali il car sharing, la diversificazione degli orari per attenuare gli effetti delle ore di punta. Immagino che a Roma il mestiere di mobility manager sia particolarmente difficile; ovviamente, non parlo di chi fa finta di fare il m.m., ma di chi prova a farlo in modo serio. In generale, però, i m. m. mancano di slancio verso il futuro. Mi spiego meglio. Cercano di gestire lo statu quo, senza provare a suggerire ai dipendenti delle aziende un modo alternativo di spostarsi, o a offrire strumenti e incentivi utili a un cambiamento di mentalità nel modo di raggiungere il luogo di lavoro. Per esempio, immaginate che l’azienda vi metta a disposizione una colonnina di ricarica elettrica per cinque anni. Non sareste invitati a comprare un motorino o un’auto elettrica? Quanto costa a un datore di lavoro approntare una colonnina elettrica? Quando costa la corrente? Ecco, sarebbe necessario investire per il futuro.

Per favorire gli spostamenti in bicicletta, non sarebbe utile un piccolo locale con armadietti, anche autogestito, dove potersi cambiare e darsi una sciacquata? Anche se al momento in un dato luogo di lavoro sono presenti pochi ciclisti, i titubanti e i desiderosi non sarebbero forse spronati da un’iniziativa del genere?

Venendo alla questione dei bike sharing, che a Roma stiamo ancora aspettando (ma senza trepidare, abbiamo le nostre bici e le usiamo): non sarebbe stato meglio cominciare con un uso gratuito del mezzo, per far abituare all’idea decine di migliaia di cittadini, invece che cominciare subito a proporre 1 o due euro all’ora (passata la prima ora o mezz’ora)? Sarà vero che il bike sharing deve favorire la mobilità ciclistica, non le passeggiate in bici, ma, vista la conformazione di Roma, si poteva offrire uno strumento in più. Se il progetto pilota fallisce per scarso consenso, le bici moriranno sotto una coltre di polvere, come già è successo in altre analoghe iniziative mal gestite.

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