«Il motto dei misantropi "poca brigata vita beata" non è stato creato per i ciclisti. In questa classe la camaraderie è formidabile; è una specie di massoneria universale trasportata nel campo sportivo: se ad un ciclista capita di litigare per istrada, state pur certi che si trovano subito dieci altri ciclisti disposti - almeno - a dargli il minor torto possibile.
Il fenomeno ha ragioni storiche. Il velocipedismo è passato attraverso un'epoca di persecuzione e di odio tanto ingiustificato e irragionevole quanto profondo. Oggi noi siamo già abituati all'automobile, e può sembrarci strano che vent'anni sono delle persone anche intelligenti abbiano maledetto l'innocua ed inutile bicicletta come un flagello sociale. Queste persecuzioni, che talvolta giunsero a deplorevoli eccessi, provocarono una vigorosa reazione di concordia e di solidarietà fra tutti coloro che non la pensavano come i cani da pagliaio e che divinando la futura riabilitazione si erano concessi alla Santa Bicicletta. I ciclisti d'allora, considerati un po' come rivoluzionari pericolosi e come sovvertitori della quiete pubblica, incominciarono a riunirsi in comizio, con tanto di musica e di bandiere, in ogni parte d'Italia - se non altro per misurare le proprie forze collettive e mostrare ai reazionari che, benché matti, erano in tanti».
Umberto Grioni, Il ciclista, Hoepli, Milano, 1910, pp. 104-105.
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