Sabato scorso decido di provare uno dei percorsi, il n. 1 nel verde, che attraversa la riserva naturale di Monte Mario, giustamente indicato dalla mappa come “molto impegnativo” a causa dei suoi dislivelli. Si tratta del mio quartiere, conosco bene le sue salite, non ci sono responsabili, la colpa è dei fenomeni geologici: fatto sta che Monte Mario – denso di memorie di Liszt, Gadda e Parise, denso di antenne e, ovviamente, in piena regola con il livello medio comunale di stronzaggine automobilistica – è una fatica. Uno dei punti di partenza del percorso è situato, secondo la pianta regalatami dal Comune di Roma, su via della Camilluccia, come si può vedere chiaramente nell’immagine.
Parto con le migliori intenzioni alla volta del punto indicato dalla mappa, sebbene ci sia un vago ricordo che mi insinua qualche dubbio sulla partenza dell’itinerario nel verde n. 1. Giunto nel punto indicato, vedo quello che potete vedere nell’immagine seguente.
Non v’è traccia di piste nel verde, ma un bel reticolato; per favore, non provate a saltare dentro al poster con tutta la bicicletta, tipo sigla del Braccobaldo show. Mi sposto a destra e manca, ipotizzando qualche approssimazione nella mappatura, ma l’accesso al parco di Monte Mario non c’è neanche lì. Forse la mappa ha anticipato lavori ancora da compiere o ha trasmesso una speranza per il futuro. Decido di entrare, più in basso, da uno degli accessi di via Edmondo De Amicis, via nota popolarmente con il nome di “K2”. L’entrata stavolta c’è e il percorso può avere inizio; è molto bello, vero che è difficile, la vista toglie il fiato (come del resto la salita) anche a coloro che hanno ammirato Roma dal Gianicolo e dallo Zodiaco (lo dico per chi non è di Roma: si tratta di un punto panoramico, situato sempre a Monte Mario, dove c’è l’osservatorio, beh, se non sapete dov’è l’osservatorio, forse è il momento di consultare una guida). In mezzo alla natura selvaggia del parco scopro alcune forme di civiltà: qualcuno ha addestrato dei cavalli e si è anche edificato una casa, sicuramente per stare più vicino ai cavalli.
Non mi resta che sperare che un giorno qualcuno incastri le aziende produttrici di Suv – così com’è stato fatto per le multinazionali del tabacco – con processi e risarcimenti miliardari. State attenti, non è un’ipotesi tanto peregrina.
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