martedì 5 febbraio 2008

Causas y azares

Ci sono mattine in cui il ciclista urbano – penso a un esempio a caso –, colto dal desiderio irrefrenabile e ancestrale di pedalare, scommette contro le previsioni del tempo, e magari anche contro quelle della propria moglie. «Oggi tempesta, cicloni, acquazzoni su tutto il Centro Italia, anzi su tutta l’Europa meridionale e il Mediterraneo; sulle coste si abbattono mareggiate alla John Conrad per capitani coraggiosi. Statevene a casa, chiudetevi nell'armadio». A dare retta a tutto quello che si cerca di prevedere non ci si muoverebbe più. Ancora peggiori sono le formule, sul tipo “nuvolosità variabile” o “poco nuvoloso”, ecc., che suona un po’ come la scritta dei tabelloni romani: “qualità dell’aria – accettabile”.
Decido quindi ostinatamente, come un onagro a ruote, di prendere la strada.
È vero, stamattina sui miei 20 Km di percorso ha piovuto, e mi sono prodotto pure in uno spettacolare scivolone sulla ciclabile, rimanendo illeso, come se la scivolata avesse attutito l’impatto. Però sull’altro versante, quello della circolazione “normale”, le cose andavano peggio: le strade erano intasate di mezzi e, come sempre, Ponte Milvio era allagato da paludi di acqua piovana. Ma ora il sole splende sulla mia bici infangata legata al palo e sulle scarpe da ginnastica inzuppate. Nel pomeriggio chissà cosa succederà, ma io devo solo tornare a casa.
Piccola addenda ai due precedenti post sull’ “Andare a scuola/al lavoro in bici”: sarebbe bene tenere un paio di scarpe nel cassetto sul luogo di lavoro, incellofanate, nuove o comunque deodorate, tipo “rompere in caso di emergenza”. Ho un paio di "cinesi" in una busta: servono, eccome. Ma tenetele nascoste, per carità, se non volete sentire le lamentele dei colleghi (a colazione da Tiffany).

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