venerdì 31 agosto 2012

L'arma plastica dell'immagine (Il manifesto, 30 agosto 2012) Fonte: il manifesto Vanni Codeluppi Una ricostruzione dell'esperienza milanese del Laboratorio di comunicazione militante Le potenzialità di un luogo di incontro nato agli albori della diffusione virale dei media digitali Gli anni Settanta sono stati un periodo particolarmente significativo dal punto di vista del cambiamento sociale e culturale del nostro Paese. Spesso sono stati etichettati superficialmente dai media come «anni di piombo», ma in realtà hanno visto nascere molte esperienze innovative. Tra queste esperienze quella del Laboratorio di Comunicazione Militante, che ha operato a Milano tra il 1976 e il 1978, è particolarmente cruciale, anche se per molti anni era stata dimenticata. Ha fatto bene pertanto Angela Madesani a curare un volume su tale esperienza. Il volume è intitolato Armamentari d'arte e comunicazione. L'esperienza del "laboratorio" di Brunone, Columbu, Pasculli, Rosa negli anni della rivolta creativa (Dalai Editore, pp. 136, euro 55) e propone una raccolta ragionata di testi e immagini prodotti in quegli anni ormai lontani. Ha certamente un sapore rétro, per la grafica povera che è stata impiegata e perché i temi che il Laboratorio di Comunicazione Militante proponeva all'epoca oggi sono poco considerati, anche se meriterebbero ben altra attenzione. Ma quali erano questi temi? Innanzitutto l'esigenza di una riflessione critica sulla funzione svolta nella società dai media e in particolare dalle immagini che vengono utilizzate dall'informazione giornalistica. Queste infatti, grazie alla loro grande forza espressiva, e spesso anche grazie al frequente ricorso a scene violente, inducono un processo di assuefazione nello spettatore. Il Laboratorio di Comunicazione Militantepertanto ha prodotto varie mostre nelle quali ha impiegato delle tecniche di decontestualizzazione simili a quelle rese celebri nel campo artistico da Marcel Duchamp. Tecniche estremamente semplici, ma anche straordinariamente efficaci per stimolare le persone a pensare ai significati veicolati dalle immagini. Ad esempio, il fotomontaggio, uno strumento che era stato molto utilizzato in Germania dopo la prima guerra mondiale per perseguire analoghe finalità. Si pensi ai celebri fotomontaggi fortemente critici verso il potere di John Heartfield. Ma più spesso il Laboratorio di Comunicazione Militante invitava a riflettere su ciò il pubblico vedeva attraverso un semplice ingrandimento delle fotografie presenti sui giornali. Oppure mutava la sequenza con la quale le immagini venivano presentate, per mostrare come ciò cambiava il loro significato. Insomma, l'obiettivo del Laboratorio di Comunicazione Militante era di dimostrare come il linguaggio giornalistico produca una sistematica distorsione della realtà politica e sociale che rappresenta. Proprio per questo, come pensavano i membri del Laboratorio, l'informazione può essere considerata simile all'arte. Anche la comunicazione giornalistica infatti cerca di dare vita a una sua particolare forma di rappresentazione. Esattamente come l'arte ha sempre fatto. Ma ai componenti del Laboratorio di Comunicazione Militante interessava soprattutto un approccio di tipo sociale all'arte. Un approccio cioè in grado di mostrare come l'arte possa intervenire nella società e cercare di modificarla. Un approccio pertanto che rifiuta il concetto di autore e cerca democraticamente di coinvolgere tutti nel processo creativo. Per questo i membri del Laboratorio organizzavano molti incontri pubblici dove insegnavano, spesso agli studenti delle scuole, a usare le tecnologie espressive più innovative all'epoca, come la fotocopiatrice o il videotape. Pensavano infatti che per essere veramente consapevoli di come un linguaggio funziona, e dunque per non subirlo passivamente, è necessario conoscere anche la tecnica che caratterizza tale linguaggio. Non è un caso probabilmente che L'arma dell'immagine, l'unico libro pubblicato dal Laboratorio di Comunicazione Militante, sia il frutto dei numerosi laboratori svolti con le scuole. Per questo è stato importante per il Laboratorio poter dare continuità al lavoro svolto attraverso una sede stabile. E la sede è stata trovata nell'ex-chiesa di San Carpoforo a Brera, dove nel novembre del 1976 è stato aperto un centro culturale denominato «Fabbrica di Comunicazione». Un centro che organizzava eventi e spettacoli e che è diventato un importante luogo d'incontro di artisti di varia provenienza. L'esperienza del Laboratorio di Comunicazione Militante ha avuto una breve durata. I suoi responsabili imputano la responsabilità della sua prematura scomparsa a quella ondata di repressione che è nata a seguito del terrorismo. Probabilmente però ciò sarebbe avvenuto ugualmente perché il clima sociale è decisamente cambiato. L'imporsi progressivo del privato e delle leggi di mercato ha marginalizzato esperienze fortemente orientate al sociale come quella del Laboratorio. Che però non è anacronistica, perché propone una lezione che è preziosa ancora oggi per chi voglia adottare un atteggiamento critico nei confronti dell'informazione giornalistica.

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