Questa storia l'ho già raccontata a qualcuno a voce e adesso, che fa freddo e sono in vena di racconti, la metto per iscritto. Non è una storia inventata, è tutto vero e mi è successa un paio di anni fa su una pista ciclabile della nostra bella Capitale, paradiso dei ciclisti, del decoro urbano, piena di parchi tenuti in ordine impeccabile dal servizio giardini, piena di strade lisce, in cui tutti rispettano i limiti di velocità e i pedoni.
Era settembre, forse ottobre. La mattina uscii di casa con la mountain bike. Il tempo era buono, solo qualche nuvoletta sparsa, niente vento. Ma una volta sceso da Monte Mario e giunto nei pressi di Ponte Milvio, una coltre spessa di nebbia mi inghiottì. La ciclabile segue il corso ondulato del Tevere fino a Castel Giubileo.
La visibilità era talmente scarsa, che a un certo punto fui costretto a rallentare. La strada eracosparsa di potasture. Il giorno prima era stato effettuato il taglio della vegetazione ai lati della pista. A un certo punto, al centro della strada, vidi una piccola figura che si contorceva. Gridava aiuto, tenendosi le mani sulla testa e rotolandosi in terra. Nella nebbia la figura sembrava illuminata, vestita com'era di bianco. Mi avvicinai. Era una ragazza in tuta sportiva, una ragazza orientale che altre volte avevo visto correre. Fermai la bici e scesi ad aiutarla. Lei piangeva e gridava, in preda a delle fitte di dolore. Non parlava italiano, quando cercai di chiederle spiegazioni me lo fece capire. Tirò su il cappuccio della tuta: era piena di vespe. La stavano pungendo a ripetizione. Cominciai a scacciare via gli animali a ditate: pungevano anche me, ma dovevo sbrigarmi. Soltanto sulla testa ne aveva almeno una decina; altre stavano attaccate alle mani e alle braccia. Gli animali erano avvinghiati ai capelli. Non so che cosa si era passata fra i capelli questa giovane donna, ma quel qualcosa piaceva molto agli insetti. Sembrava il loro cibo preferito. Pappa reale, ginseng, miele? E la misteriosa ragazza cinese non sapeva, non voleva parlare in italiano. Ci procurammo entrambi diverse punture fino a quando, lentamente, lei non ebbe più insetti addosso. Mi chiese aiuto per raggiungere Castel Giubileo: la ragazza era minuta, pensai che il portapacchi d'acciaio ce l’avrebbe fatta. La caricai dietro con le gambe penzoloni e cominciai a pedalare. La bici andava, credevo che non ce l’avrei fatta. All’arrivo, cercai di scambiare ancora qualche parola, chiedendole di dov’era, ma lei disse no, muovendo il capo. Arrivammo alla fine della ciclabile. Lei si avvicinò a un’auto grigia, risollevata. E si dissolse nel nulla.
1 commento:
che storia! sembra quasi l'inizio di un romanzo. api e vespe sono bestiole piccole, ma terribili quando sciamano incazzate. hai avuto coraggio a intervenire direttamente, ma in effetti la ragazza poteva davvero finir male. complimenti.
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