martedì 27 novembre 2007

Cose buone dal '68

Non resta che osservare quello che è accaduto in quarant’anni: il potere accademico è rimasto intatto e invece è franata clamorosamente la qualità degli studi universitari. Sono aumentati vorticosamente gli iscritti nelle università italiane e, miracolo dei miracoli, sono aumentati anche i laureati. Osserviamo quanto è accaduto in area umanistica. Il sistema dei Cfu e del 3+2, dal punto di vista didattico, ha prodotto risultati molto discutibili; troppi laureati concludono i loro studi senza saper scrivere, non distinguono i diversi registri della lingua e arrivano a fatica a padroneggiare un lessico di 150 vocaboli. Si è persa la capacità di leggere e di studiare. Si vorrebbero spiegazioni fatte di sole immagini, a fumetti, o a slides, che fa più chic. E poi, detto sinceramente, le scienze della comunicazione ci hanno rotto i maroni!




Qualche controcorso torinese del '68 l'avrei seguito volentieri, magari non per intero. Sono tante le frasi profetiche scritte quarant’anni fa sul numero-manifesto dei Quindici, che vale la pena di rileggere: «I professori impongono un programma e questo viene spesso preparato su modesti riassunti tirando a indovinare. Si è giunti, in alcune Facoltà, all’assurdo: 600 studenti interrogati in tre giorni da un solo professore (Magistero, ottobre ’67) […] Il sistema di cooptazione dei professori, i quali vengono scelti da altri professori sulla base di criteri insindacabili: nepotismo, identità di vedute politiche, correnti filosofiche o culturali, sottogoverno, posizione nel mondo dell’industria […] Ma lo strumento di controllo maggiore nelle mani dei professori, quello che dà valore a tutti gli altri e la vera base politica del loro potere accademico è la collaborazione degli studenti. Senza collaborazione degli studenti, un professore, se non è anche un dirigente d’azienda o un ministro (cosa non poi tanto rara) non è più nulla». Vanno notate innanzitutto due cose. La prima è che il sistema di cooptazione dei professori è oggi molto peggiorato. Lasciamo da parte la sceneggiata dei concorsi; nell’individuazione dei candidati più opportuni, sono sparite completamente le motivazioni politiche e filosofiche, ed è rimasta in piedi soltanto la logica del sottogoverno, peraltro non suffragata da una comunanza intellettuale, ma soltanto da numerose ore di lavoro illegale, offerto a titolo gratuito e la cui autorialità non è riconosciuta, violando così al contempo le leggi del lavoro e quelle sul diritto d’autore. Detto in parole più chiare: sempre più spesso, i concorsi universitari vengono vinti da persone che non hanno scritto quasi nulla ma, stando alla commissione, hanno effettuato una prova di concorso di elevatissimo livello. I verbali dei concorsi oggi si trovano sul web, ma come mai molti di coloro che hanno vinto un concorso non mettono il loro curriculum online? Si vergognano?


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