venerdì 16 dicembre 2011

Psicogeografie

di Saverio Bragantini

Chiedo scusa per la lunga assenza, dovuta a un intenso periodo di studio. E anche al tracollo definitivo del gruppo della nuova critica concretista.
Mi ha attratto su questo blog l'annuncio dei ciclofficinali milanesi della Stecca, che hanno coniugato l'adesione all'entità anticreazionista Flying Spaghetti Monster con Santa Graziella Scatenata (interessante caso di sincretismo metropolitano) e si preparano ad aprire una chiesa pastafariana domani: peccato non esserci, devo andare a far casino a un paio di vernissage, due artisti stronzi e venduti all'arte imbacuccata.
Ma, ancor di più, mi ha colpito nella poesia di presentazione dei pastafariani meneghini, la citazione di un poemetto di Ivan Chtcheglov, teorico politico e attivista, scritto nel 1953. Un passo che mi ha fatto sobbalzare e ritornare in un attimo agli anni Sessanta: "Nelle città ci annoiamo, non c'è più un tempio del sole". Pensate: se il poeta s'annoiava a Parigi nel '53, adesso che farebbe a Roma o Milano? Il suo Formulaire pour un urbanisme nouveau fu letto dal nostro cenacolo di critici militanti e molte idee vennero messe in cantiere durante serate molto alcoliche. Situazionismo, lettrismo, la psicogeografia, da applicare a situazioni concrete. Per molta gente oggi, immersa nei totem elettronici, sfortunatamente queste cose non hanno senso. E ci ritroveremo a vivere in uno spazio sempre più disabitato. Internet sarà pure un fomidabile veicolo di liberazione, ma è, alla fine, un surrogato del reale: ed è tutto tracciato, facciamo da cavie al grande esperimento, siamo un dato statistico nel nuovo Panopticon digitale; il web ha ormai soppiantato la tv, che è stato il terminale domestico dell'imperialismo, negli anni Cinquanta-Duemila. La tv sta scomparendo dalla frontline dei media, non rimangono che cascami di idiozie, programmi di merda che nessuno guarda. La tv si sta trasformando in un juke box on demand, con costi sempre più alti, per vedere film e l'oppio dei popoli, il calcio.
Purtroppo la psicogeografia è rimasta un esperimento isolato, un esercizio di aristocratici fancazzisti che la domenica mattina gironzolavano nelle città. A Roma e in molte altre parti d'Italia, la psicogeografia vera l'hanno fatta i costruttori con i loro mostri, non certo gli artisti che si sono dati prevalentemente all'adorazione del mercato, quando hanno visto uno spiraglio per il successo. Ma il mercato li ha presi quasi sempre per il culo (d'altra parte è il suo mestiere); e la maggioranza degli artisti è finita tra le fauci di critici venduti, galleristi, corniciai, organizzatori di mostre, che hanno arraffato il bottino e se lo sono spartito.
L'ambiente impatta la psiche. Parliamo solo delle metropoli, perché nei piccoli centri urbani le dinamiche sono differenti. Aivoglia a parlare di libero arbitrio. Nelle città, ci sono vortici di ombre, qualche sprazzo di luce, la disperazione delle strade buie (per risparmiare sull'elettricità), ci sono i moti browniani delle masse, le leggi dei grandi numeri, la violenza, l'esasperazione, le macchine infernali a carburante fossile, con il risultato di migliaia di morti ammazzati dal traffico e dalle malattie dello smog e dello stress. Senza responsabili, ma anche senza che qualcuno si opponga al grande tritacarne, spettacolo macabro messo in piedi da coloro che ogni giorno adoperano mezzi a motore, per poi caderne vittime.
L'istanza psicogeografica fa ripensare al Benjamin dei Passages, al flâneur - che era già uno psicogeografo - all'ipotesi di una ridefinizione dello spazio urbano in senso creativo, senza aspettare i grandi progetti disattesi, le promesse dei politici al comando, ossia il tempo della riscossa che non arriva mai, mentre le città continuano a soffocare. Meglio concentrarsi sull'aiuola incolta, con azioni di guerrilla gardening, con lo spazio liberato dalle automobili di una Critical Mass, o i flash mob. Molto meglio mettere le bandierine sulle cacche dei cani nel proprio isolato, con sopra scritto "padrone stronzo", che andare a bofonchiare in convegni inconcludenti sulla mobilità, che servono solo a buttare quattrini e a far bella figura al politico di turno. Perché il tempo dell'attesa, messianico, che ha un'origine religiosa, è la strada maestra della politica, specialmente quando non vuole spender soldi. Dagli intasamenti, dall'entropia delle città, le istituzioni guadagnano un sacco di soldi, o comunque non li spendono. Il mito dell'allargamento delle strade, la fluidificazione, ponti, cavalcavia: sono tutte stronzate, il traffico si intasa un po' più in là.
L'approccio psicogeografico parte da una riappropriazione dello spazio, che avviene tramite la deriva, sorta di introiezione della metropoli. Guy Debord consigliava: "Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta [...]. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari". Beh, a me queste prescrizioni non piacciono. Che fai il finto tonto, a guardare una cosa come se fosse la prima volta? Ma non diciamo stronzate. Comunque il punto di partenza è grossomodo quello, una perlustrazione.
Ma questo è soltanto l'inizio. Si va a piedi, a esplorare, lentamente. Scoprendo. A me piace andare in bici, la domenica mattina, molto presto, quando c'è poca gente per le strade. La bici sbriglia la fantasia, con declinazioni avvincenti delle idee psicogeografiche. Ci vuole soltanto un po' di tempo, anche inscatolato (disattendendo Debord), quasi un "record dell'ora di psicogeografia nel mio quartiere".

Mi piace girare per una città con la mappa di un'altra, oppure mettermi a disegnare a casa una piantina, inventandomi reticoli di strade assurde, per poi adoperarla nella città vera, scoprendo sempre aspetti inusitati, muri, strade senza uscita, discariche della vergogna, schiarimenti del cielo o cunei di campagna romana fra i palazzi. Che si vanno a sovrapporre alle invenzioni domestiche dell'immaginario.

1 commento:

ha detto...

Caro Saverio,
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