lunedì 16 gennaio 2012

Fonte: L'Unità, 14 gennaio 2012, p. 29



L’arroganza dei soliti impuniti

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Ciò che rende quella dei politici una casta senza redenzione non sono tanto gli stipendi (tra i giornalisti censori della partitocrazia ci sono salari, contratti e fuori busta assai più generosi: ma nessuno di loro li pubblica mai). La casta è tale anzitutto per il sentimento d’impunità che le appartiene, per quel passo indietro o al di sopra delle leggi e delle regole che le è concesso. Impunità antica, ma un tempo vissuta con pudore; oggi invece esibita come un segno di forza, di potere personale, di sfacciata protervia. Prendete l’applauso e gli abbracci con cui i complici politici di Cosentino hanno salutato la sua fuga dalla giustizia, la quarta in due anni. Un parlamentare accusato da nove magistrati di essere il terminale istituzionale di una banda di assassini non andrebbe festeggiato perché l’ha fatta franca. Invece la processione, in diretta televisiva, è stata lunga, appassionata, affettuosa. Mancava solo il dito medio in alto esibito davanti ai fotografi, per il resto c’era tutto.
Non c’era invece Mario Monti, e non c’era il suo governo, assente da Montecitorio al momento della decisione su Cosentino: tecnici sì, fessi no. Il voto conferma che tra i buoni propositi di questa complicata maggioranza parlamentare non c’è spazio per la questione morale. E non c’è spazio nemmeno per il referendum sulla legge elettorale. Un milione e duecentomila firme non sono bastate a convincere la Corte Costituzionale; la legge elettorale resta quella che è: una porcata (tecnicamente parlando…).
Non è detto che si possa svolgere nemmeno l’altro referendum, ben più modesto nelle intenzioni ma determinante per i suoi esiti, che il Partito Democratico ha bandito in Sicilia per il 12 febbraio. Quesito semplice che grosso modo recita così: volete che il PD continui a far parte della maggioranza alla Regione con il Terzo Polo? Vi piace questa giunta Lombardo? Tiremm innanz o ci tiriamo fuori?
Dubbio più che legittimo di fronte a un presidente di Regione come Raffaele Lombardo che il 6 febbraio verrà giudicato per reato elettorale dal giudice monocratico. A settembre il governatore era stato graziato dall’accusa ben più grave di concorso in associazione mafiosa grazie alla sospetta benevolenza della Procura della Repubblica di Catania, fino a pochi mesi porto delle nebbie per ogni procedimento penale che riguardasse la casta politica ed economica della città. Derubricata l’accusa, restano i fatti e i comportamenti. Uno per tutti: il certificato medico che Lombardo si fece rilasciare in ospedale, subito dopo – pensate la coincidenza! – aver appreso e letto sui giornali di un suo possibile arresto. In quel certificato si parlava d’un aneurisma all’aorta, malformazione grave, pericolo di vita, condizioni del paziente certo incompatibili con una eventuale detenzione. Strano che la stessa sera della diagnosi, Lombardo avesse preso l’aereo per andare a Roma e partecipare, in ottima salute, a una puntata dell’Infedele di Lerner. Meno strano che il primario del reparto di chirurgia vascolare dell’ospedale Cannizzaro, il professor Lomeo, si fosse rifiutato di firmare quella diagnosi piuttosto affrettata vergata da un suo assistente e l’avesse spedita, per le dovute indagini, alla magistratura.
Morale: Lombardo continua a godere di ottima salute, l’aneurisma all’aorta è rimasto solo uno scarabocchio su quella cartella clinica taroccata ma il direttore del Cannizzaro, che manco a dirlo è un fedelissimo di Lombardo, ha annunciato il licenziamento del primario, colpevole di aver fatto il proprio dovere e di non aver certificato il falso.
Basterebbe questo tristissimo aneddoto su un signore che governa la Sicilia come se fosse l’Uzbekistan per comprendere la ragione del referendum che gli organismi del PD hanno faticosamente preteso sulla giunta Lombardo e sul loro partito. E qui viene il bello: Lombardo, appreso della consultazione, concede 48 ore al PD per annullarlo altrimenti caccerà fuori dalla giunta i suoi assessori. I deputati regionali si riuniscono e invece di mandarlo a quel paese accolgono l’ultimatum e approvano all’unanimità un documentino per sollecitare il partito a rivedere la decisione presa sul referendum. Vota con gli altri, contro la consultazione, anche l’onorevole Giuseppe Lupo che da segretario del partito ha promosso il referendum ma da deputato regionale adesso lo giudica “inopportuno”. Amen.
Claudio Fava

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