mercoledì 23 febbraio 2011

Ciclismo urbano ieri pomeriggio e altro

Ieri pedalavo su Sabrina, luce dei miei occhi, per il quartiere Prati, in procinto di aggredire la salita che porta a Monte Mario. Nello zaino avevo dei vestiti, attrezzi vari, una bottiglia di vino, un chilo di carne e 6 uova. Quindi un senso di peso e fragilità, condito dagli scricchiolii di Sabrina, che ha bisogno di una revisione, ma che si comporta comunque benissimo.
Mi ha colpito la quantità di gente che va in giro in bici per Roma. Una signora con il figlio su via Andrea Doria. Un signore con una bici scassatissima che trasportava una piccola bombola di gas nel cestino. Due signore eleganti, un sacco di ragazzi e ragazze. Un ragazzo d'origine cinese andava come un treno sulla sua city bike.

Una realtà che il Comune di Roma continua a ignorare, ma che cresce di giorno in giorno. Mi piacerebbe un sacco sapere come passano le giornate all'Ufficio biciclette del Comune, che cosa c'è sul loro tavolo, di cosa parlano nelle riunioni. Ho imboccato viale delle Medaglie d'oro, mentre le auto facevano il solito accelera-frena-accelera-frena, e non volevano proprio accettare il fatto di essere temporaneamente sorpassate da una bici priva di rapporti e da un individuo a dir poco pittoresco con uno zaino ingombrante in spalla, che faticava e che però si divertiva, mentre loro né faticavano né si divertivano, anzi si innervosivano e i quattro salti in padella e il gelato confezionato facevano su e giù nell'intestino. Intanto il prezzo del petrolio saliva (oggi a 105,78 al barile, benzina a 1,5 euro, tanto aumenta lo stesso anche se il petrolio non sale o addirittura scende), perché oggi, ti spiegano, il petrolio fa andare avanti il mondo e ci si preoccupa ipocritamente della Libia che chiude i rubinetti mentre migliaia di persone vengono fatte a pezzi dall'artiglieria e, ancora molto cinicamente, ci si preoccupa dei rifugiati che arriveranno sulle nostre coste (dicono 300 mila, ma saranno ovviamente di più) e con grande faccia di bronzo si apre il comitato d'emergenza all'opposizione, e l'opposizione acccetta, eccetera. Insomma, pensavo che la rivoluzione a pedali sta avvenendo davanti ai nostri occhi, perché le persone si sono stufate di passare ore in auto, altre ore a cercare un parcheggio, poi a cercare i soldi del parcheggio che scade e si prende la multa, ma non sempre (che sarebbe meglio a livello logico), ma solo qualche volta, quindi la multa è percepita come un agguato maligno, un sopruso, solo perché ci si era fermati sulle strisce pedonali e vari disabili erano tornati indietro a casa loro, disperati, a guardare la tv, incazzati neri contro questo mondo a misura di automobile che cancella i diritti elementari...

La rivoluzione a pedali si fa in due modi. Il primo è popolare, ossia ciò che sta accadendo, e presumibilmente si continuerà nella stessa direzione. Anche perché la seconda eventualità, che spiegherò più sotto, non pare essere all'ordine del giorno nelle metropoli italiane. Sempre più persone si stancano dell'attuale modo di vivere, delle due ore se va bene di traffico al giorno, dei livelli di colesterolo e zuccheri nel sangue, dell'impoverimento monetario che l'arbitrario prezzo della benzina impone. Si badi bene, che la maggior parte delle persone che oggi decidono di usare la bici non sono frequentatori abituali della Critical Mass o gagliardi giovani su bici a scatto fisso autocostruite, ma sono persone normali, comuni, che sembrano appena uscite da una Smart o da una NSU Prinz, di medie capacità fisiche, che si ingegnano a cercare una bici e a non farsela fregare, persone che hanno capito che l'uso della bici conviene perché la bici è più rapida, comoda, economica, salutare, intelligente, ecc.

E succede sempre più a persone di una certà età, che non si sospetterebbe mai possano cambiare abitudini così facilmente. Invece lo fanno, alla faccia delle multinazionali del petrolio e dell'automobile. Succede a persone con figli che dicono basta e non si torna indietro, che vendono l'automobile, la mandano a fare a pezzi dallo sfasciacarrozze, la mandano affanculo e imparano a spostarsi in un altro modo, oppure lo fanno part-time, ma risparmiano comunque un sacco di soldi. E qui bisognerebbe investire anche le assicurazioni di mezzi a motore che dovrebbero creare polizze assicurative a chilometraggio e far pagare un sacco di soldi ai proprietari di suv e di moto sopra una certa cilindrata. Penso che per i suv sarebbero giuste polizze assicurative sui 2000-3000 euro all'anno: tanto i proprietari sono ricchi, anzi si potrebbero vantare ancora di più del loro status del cazzo, tanto moriranno pure loro.

I suv inquinano e ingombrano sempre, ogni tanto uccidono. Infestano le nostre città, con sopra persone che pesano 60 Kg al telefono, mentre sterzano. E nessuno dice niente.

Pensare che i vigili urbani possano fare qualcosa è difficile: sono come tramortiti, a parte casi virtuosi locali. E sono pochi.
Io purtroppo non capisco bene a cosa servano oggi a Roma gli agenti della Polizia Municipale. Se almeno applicassero una volta ogni tanto, nei casi più evidenti, l'articolo 141 del Codice della strada che permettere di multare chiunque adotti uno stile di guida pericoloso per l'incolumità altrui.
Però recentemente qualche posto di blocco l'ho visto fare nella mia zona. A via Igea, da anni, si assiste a un perenne imbottigliamento causato dalle auto in seconda e terza fila. Ho letto che qualche giorno fa sono arrivate parecchie vetture della municipale a fare multe e a una hanno tranciato le ruote.

La seconda possibilità per innescare una rivoluzione ciclistica nelle città italiane sarebbe quella istituzionale. Lo accenno soltanto perché non vedo alcun segnale da parte del Comune di Roma, di Milano, di Napoli, di Palermo, di Torino in questa direzione. Con Firenze e Bologna stiamo già in una dimensione europea per quanto, mi rendo conto, questo aggettivo non significa quasi nulla in termini di ciclabilità, perché esistono situazioni e soluzioni molte diverse. Ma Roma è al livello dei Paesi meno progrediti del pianeta, dove peraltro ci sono pochi suv, e scooteroni quindi noi stiamo peggio.

Pensiamo a questo scenario così, per gioco. Il Comune di Roma stanzia, entro pochi anni, una parte importante del suo budget, ottenuto dalle multe, da quote regionali delle polizze assicurative dei Suv e degli scooteroni, ecc. a favore della mobilità debole: per primi i disabili, che oggi non possono muoversi di casa, poi i pedoni (anziani con i riflessi rallentati, per cui 50 Km/h sono troppi, mamme con bambini, ecc.), e a seguire i ciclisti.

Le istituzioni hanno sulla coscienza 3 milioni di disabili, obbligati a stare in casa perché il vigile invece di fare le multe agli incroci è impegnato in altre attività. 

Qualche giorno fa ho cercato di fermare, con gesti piuttosto concitati, un'automobile della Polizia Municipale di Roma, perché c'era un cartello stradale riverso per terra davanti alle strisce pedonali. Una serie di tondini di ferro spuntava dall'asfalto e il cartello era stato messo lì apposta, ma qualcuno lo aveva preso con l'auto o con il suo grosso culo. I vigili senza rallentare mi hanno guardato e non si sono fermati. Come succede in alcuni Paesi molto poveri.

Qualche settimana fa ho passato 6 ore e 25 minuti al pronto soccorso dell'ospedale San Filippo Neri (riposi in pace) soltanto per avere conferma di quello che già sapevo: una frattura dell'alluce.
Voi due che leggete i miei post avrete notato uno iato di due settimane. Era il periodo di convalescenza dell'alluce. E non ho pedalato. Ma appena mi sono fratturato sono tornato a casa in bici a scatto fisso, questo per evidenziare la serietà del sottoscritto: comunque con l'alluce rotto è più facile pedalare che camminare. Se uno si frattura l'alluce, il tuo datore di lavoro non ci crede, per principio: vogliono il certificato, quindi devi farti vedere da un medico che guarda l'alluce e cerca di assumere un volto in qualche modo professionale, ma non sa se è rotto, perché è rotto l'osso, mica la pelle, quindi ordina di farti una radiografia e alla fine, dopo altra attesa nell'ospedale pubblico, un altro medico, specializzato in ortopedia, ti dice quello che già sapevi, lo sapevi perché ti era caduto un mobiletto molto pesante sull'alluce e siccome non sei fatto di titanio, l'alluce ha fatto quello che doveva fare: s'è ROTTO. Poi, ovviamente, ti dicono che non si deve né si può ingessare, quindi te lo tieni così. E devi indossare un calzino, per mantenere l'alluce unito al resto delle dita, sennò potrebbe andare dove gli pare.
"E non metta quei sandali, per favore".
"Sì, ma li ho messi per stare più comodo, sennò mi fa male".
"Il piede deve essere protetto. Metta un po' di ghiaccio e lasci stare le creme".
Serietà e competenza, sì, ma 6 ore e 25 minuti. E in tanti anni di rischi, cadute, meccanica, autocostruzione, smucinamenti, rimestamenti, ecc. un alluce rotto ci sta pure, anzi il bilancio resta in attivo, e sempre grattandosi le palle.

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