martedì 4 ottobre 2011

Contro la legge bavaglio: verso il 15 ottobre

Questo blog non rispetterà la legge di un governo in putrefazione


(Fonte: Corriere della Sera)

IL LEGALE - L'avvocato Antonio D'Amati invita i giornalisti a continuare a fare il loro dovere: «Se i giornalisti verranno portati a frotte davanti ai tribunali, i giudici li assolveranno. Non temo l'istigazione a delinquere quando dico ai giornalisti che di questa futura legge non dovranno tenerne conto. Nessuno può essere condannato per aver fatto il proprio dovere. Questa legge sarà un buco nell'acqua serve solo a spaventare».


La legge punirebbe anche i semplici blogger. Se il comma 29 dovesse diventare legge, chiunque faccia informazione «non professionale» avrebbe 48 ore di tempo per procedere a una rettifica di quanto scritto, a prescindere dalla fondatezza della richiesta ricevuta, pena una sanzione fino a 12 mila euro.  

(Fonte: Lettera 43)


Per Ethan Zuckerman, co-fondatore del network Global Voices e direttore del Center for civic media del prestigioso Massachusetts institute of technology, il ritorno del comma 'ammazza-blog' inserito all'interno del disegno di legge sulle intercettazioni è un pericolo che non va sottovalutato.
EFFETTI INTIMIDATORI SUI BLOGGER. Zuckerman, da sempre attivo nel dare voce a blogger e citizen journalist sparsi nel mondo a cui i media normalmente non la concedono, non ha dubbi: la norma che vorrebbe estendere l'obbligo di rettifica - originariamente previsto solo per la stampa - a tutti i «siti informatici» entro 48 ore dalla richiesta, pena una multa fino a 12.500 euro, è da bocciare. E va bocciata con una protesta forte e chiara.
STERILIZZARE IL DISSENSO. Perché la vittima è la libera espressione online, che rischia di finire travolta dagli effetti «intimidatori» di un progetto di legge che ha senso unicamente all'interno di un disegno governativo teso a sterilizzare il potenziale di dissenso politico della Rete.

DOMANDA. Zuckerman, la norma 'ammazza-blog' equipara gli obblighi di giornalisti e blogger. È giusto?
RISPOSTA. Leggi di questo tipo sono una forma di intimidazione. Nelle società meno aperte, e l'Italia è tra queste, ci sono state proposte per obbligare i blogger a registrarsi. Per esempio in Cina. Ma anche in Corea del Sud, dove per partecipare a molte conversazioni online è necessario registrarsi con la carta d'identità.
D. Come possono essere considerate queste decisioni?
R. Tutti, all'interno della comunità di chi si occupa di libera informazione, concordano nel sostenere che si tratti di tecniche intimidatorie, di modi per limitare la libertà di espressione.
D. Anche in Italia?
R. È preoccupante vedere Berlusconi fare una proposta di questo tipo, perché molto probabilmente avrà l'effetto di scoraggiare la libera conversazione online. E in Italia la libertà di espressione in Rete è incredibilmente importante a causa dell'influenza di Berlusconi sulle televisioni.
D. E l'obbligo di rettifica?
R. Potrebbe anche avere senso, perché non vedo una separazione netta tra blogger e giornalisti. Entrambi sono parte di un continuum: certi blog sono di natura giornalistica, e alcuni blogger chiedono addirittura di essere equiparati a giornalisti, così da poter proteggere le loro fonti, per esempio nel caso in cui entrino in possesso di informazioni riservate.
D. Quindi?
R. Ciò che conta è l'atto compiuto, non chi lo compie. Importa che l'atto sia giornalistico, e non se a compierlo siano blogger o giornalisti. Ma identificare i primi e i secondi ha effetti intimidatori. È preoccupante.
D. Non è la prima volta che il governo avanza proposte di questo tipo. Come mai?
R. Temo che Berlusconi comprenda incredibilmente bene il potere dei media radiotelevisivi. Una parte sostanziale degli italiani soffre di «analfabetismo funzionale». Cioè potrebbero leggere, ma non lo fanno. La loro visione del mondo si forma attraverso la televisione. E Berlusconi ha il completo controllo di sei o sette canali. Eppure...
D. Dica.
R. Quanto è avvenuto in occasione dei recenti referendum è interessante. Pur non essendo stati discussi in televisione, molte persone si sono recate a votare e il governo è stato sconfitto. È stata una vittoria della libera espressione online. Per questo credo Berlusconi si renda perfettamente conto del suo potenziale politico. E per questo credo sia un ambiente che intende mettere sotto controllo.
D. E a livello internazionale accade lo stesso?
R. Anche in Paesi dove c'è un contesto più favorevole alla libera espressione online è in corso il dibattito su come regolarla correttamente. Ma equiparare blogger e giornalisti non è una buona soluzione, e non è una soluzione percorribile. Allo stesso tempo, è troppo comodo sostenere che non abbiano niente in comune. La risposta sta nel mezzo.
D. Nel frattempo in Italia sta montando la protesta contro l'ammazza-blog.
R. Sono stupito che gli italiani non si siano ribellati in modo più plateale contro gli eccessi dell'attuale presidenza. E spero che una qualche forma di controllo si traduca in protesta. Negli Stati Uniti, per esempio, c'è stata una piccola manifestazione dopo l'uccisione di un senzatetto nella metropolitana di San Francisco. Per impedire che altri manifestanti accorressero sul luogo, le autorità hanno deciso di interrompere il servizio di telefonia mobile.
D. E che è successo?
R. A causa di quella restrizione della libera espressione c'è stata una protesta molto più estesa. La mia speranza è che qualcosa di simile accada in Italia con questa legge. Che è indubbiamente mirata a restringere la libertà di espressione online.
D. Quali conseguenze immagina?
R. Se dovesse perdere la capacità di conversare liberamente in Rete, l'Italia perderebbe una porzione molto importante della sua democrazia.
D. Serve una sorta di piazza Tahrir italiana?
R. Bisogna capire che cosa si sta cercando di ottenere. In Tunisia era piuttosto chiaro: la democrazia. In Egitto è molto meno pacifico: nel suo caso il leader da combattere era meno importante del sistema su cui si regge. Mi colpisce che in Italia ci siano problemi sia con il leader sia con il sistema.
D. Che fare?
R. Apprezzo gli italiani che sono pronti a scendere in strada, ma se si dovesse finire con l'avere una piazza Tahrir italiana varrebbe la pena chiedersi non soltanto contro, ma anche per che cosa la si faccia.
Venerdì, 30 Settembre 2011

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