No. No. No. Esplorare le prime peripezie plastiche di Friedrich von Archimboldi, tentando di cogliere il preludio a ciò che sarebbe stato, comporterebbe troppi giri di parole e, alla fine, i sotterfugi a cui, purtroppo, ci ha abituato certa critica venduta, esseri abbietti schiavizzati dalle mode e dal denaro. In fondo, degli Scilipoti della coscienza, furieri dell'inferno, servi della gleba che leccano il pavimento nel palazzo del principe. No. L'
hortus conclusus delle opere primordiali di Friedrich nasconde una domanda. Di cosa avrebbe avuto bisogno, il Nostro, per portare a termine - e forse fermarsi, non proseguire oltre, come un esordio temporaneo, che esordio non è, perché non ha un seguito - quel suo segmento creativo, tematizzando una ricerca glocale, con le vibrazioni telluriche della materia bruta (e pochi soldi)? Di nulla. Ed è
Porta (2002?).
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Friedrich von Archimboldi, Porta (2002?) |
Non 'Una porta', e neanche, pretenziosamente, con sospetti di paccottiglie di esoterismo iniziatico o, peggio,
incipit di un
horror di serie b, 'La porta'. No. Questa è
Porta. Non nel senso, evidentemente, di 'porta qualcosa da mangiare', ma di uscio, probabilmente un uscio noto, non il primo incontrato. Ma neanche questo è sicuro. E aleggia il rito di passaggio, non iniziatico (che sarebbe troppo palloso), ma tribale. Per essere chiari, del tipo: se voi bianchi vi avvicinate, vi facciamo un culo così.
Insomma, di polvere se n'è depositata su quest'opera, ma nulla a confronto di
Rete (2002?), che precede sicuramente quanto visto sopra. E sulla cronologia di questi artefatti si potrebbe dire molto. Come se non lo avessi detto: secondo me sono del 2003.
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Friedrich von Archimboldi, Rete (2002?) |
Qui viene da sorridere. Ma è una sensazione fugace, sostituita da una più stabile. La rete è uno scherzo, perché qua non c'è nessuna cazzo di rete, anzi è una trama aperta, inadatta alla cattura dei pesci e delle farfalle, e anche alle connessioni fasciste del web. Mica starete leggendo questo saggio su Internet, vero? Questa qui è la rete del pensiero aperto, dialettico, che ingloba, cerca il consenso, fraternizza. E respira.
Ciò che ho detto finora è come se non lo avessi detto. Cancellate tutto, per favore. Una massa di stronzate. Perché arriviamo al lavoro primordiale. E la storia dei materiali dice tutto. Parliamo di
Totem (2002?). Il
big bang di Friedrich, l'
om, l'
ur, il la di quel che verrà.
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Friedrich von Archimboldi, Totem (2002?) |
I genitori di Friedrich, che non erano indigenti, non gli comprarono mai il meccano a Natale, perché costava troppo. Possibile che quel cazzo di vecchietto che guidava le renne non avesse da qualche parte un meccano per il piccolo Friedrich? Anche una rimanenza di magazzino. No. No. E no. Il risentimento covò negli anni. Ma dette i suoi frutti. Una sera, prossimi alle sante feste natalizie, già adulto, anzi per i canoni medievali già avviato alla rottamazione, Friedrich scorse, vicino a un cassonetto del Comune di Roma, una scatola misteriosa. La passione per l'immondizia aveva già orientato il Nostro verso una particolare sensibilità (poco condivisa da ampi settori di questa sporca società). Nell'immondizia si nascondono tante cose interessanti. La scatola si può prendere e portare via, oppure ci si può guardare dentro. Friedrich sollevò il coperchio e, porcaccio mondo ladro, vi trovò il tesoro dei bucanieri, la quadratura del cerchio, la pietra filosofale. Pezzi del meccano. Come se avesse scoperto la lampada di Aladino, Archimboldi fu segnato dalla grazia pitagorica o, per meglio dire, euclidea delle figure geometriche potenziali, di quelle strutture (Marx). Macchinalmente, mise a punto il
suo totem. Senza scomodare Benjamin, Agamben, Deleuze, Debord, il totem ci stava tutto. Mortacci sua se ce stava.
Saverio Bragantini,
docente di storia dell'arte sperimentale, contemporanea e futura