lunedì 11 ottobre 2010

Totalmente privati del pubblico

Diverse notizie, con gli stessi orientamenti di fondo.
Formula 1 a Roma: pronti 120 milioni di fondi privati per sostenere l'iniziativa. Nazi-Ecclestone esclude tassativamente che si possa correre a Vallelunga: «Non ci interessa, noi vogliamo che la gara venga disputata su circuito cittadino». Agli ordini , grande capo tribù. Quando Bernie chiede una cosa, con le sue maniere gentili, non si può dire di no.
È interessante il punto di vista dei promotori di questa iniziativa. Sembrano emissari dell'Opera Don Guanella. Maurizio Flammini, l'imprenditore alla guida del progetto F1 a Roma, sottolinea: «Siamo pronti a investire 120 milioni di euro di risorse private per risanare la zona delle Tre Fontane, lasciata da anni al degrado e all'abbandono totale». Voi penserete che vogliano potare le piante e rimuovere le immondizie. No, sarebbe troppo facile. «Vogliamo realizzare un Palazzo dell'arte e dello sport, una struttura polifunzionale con palestre, campi da basket, volley e rugby, pista da pattinaggio al coperto». Almeno ha avuto il buon gusto di non menzionare le piscine...Credo che per un po' a Roma siamo a posto.
Tutto sarebbe realizzato da capitali privati, il Comune non spenderà un euro. I costruttori faranno il loro lavoro da buoni samaritani e poi, assestandosi il saio e i sandali francescani, se ne andranno.
Sulla gestione di queste strutture non si dice nulla. È la classica bufala, che con la scusa dello sport, servirà a colare altro cemento a Roma. Chi ci guadagnerà saranno i costruttori. Se ci sono debiti ci pensa il Comune, che si tiene i cocci. Il modello della Stazione Ostiense per i mondiali del 1990, ossessivamente reiterato.

Alcuni imprenditori, invece, offriranno banchi ad alcune scuole della Capitale. Metteranno una targhetta con il nome dello sponsor: un po' come avveniva in chiesa con certe persone o famiglie benestanti che tentavano inutilmente di salvarsi l'anima. Il principio non mi piace affatto. Ciò non toglie che così si possano avere gratis delle sedie e dei banchi. Mi ricorda la nefasta partnership di qualche tempo fa tra Nestlè e alcune università italiane. Arriveremo nelle scuole a banchi con slogan tipo "Imbottisciti la pancia con le nostre merendine di merda". "Mangia lo stucco marrone, hai visto la nazionale come gioca bene?". (Nella pubblicità italiano il rapporto tra mondo dello sport e cibo spazzatura è ormai pavloviano). No, no, nulla di tutto ciò.
Anche a proposito del bike-sharing a Roma si invocano i privati. È un servizio in totale decadenza, questo è evidente e lo abbiamo detto molte volte. Ora a gestire il bike-sharing è l'Atac che, com'è noto, ha un deficit di 160 milioni di euro. Infatti, qualche giorno fa, il sindaco Alemanno ha detto che la gestione del bike-sharing deve passare ai privati. La gestione dell'Atac era assolutamente inappropriata. Il servizio gestito dall'azienda, a fronte di una spesa annuale di un milione e settecentomila euro, ha prodotto solo centomila euro. Non mi sorprende. Quindi un sacco di soldi pubblici sono stati spesi inutilmente. Pensavano di guadagnare affittando biciclette?
Se le cose stanno così, c'è da pensare che per le piste ciclabili di Roma, gestite pure dall'Atac, stia per suonare il "De profundis". Nessuno mai le riparerà. Basta guardare gli autobus di Roma: sono in genere ridotti male, non passano mai e quindi sono sempre pieni.
La mia sensazione è che il bike-sharing a Roma sia nato da un equivoco, ossia la speranza che i privati venissero a fare beneficenza (la spagnola Cemusa che inizialmente offrì il servizio gratis) e che, dall'altra parte, gli spazi pubblicitari a Piazza di Spagna o a Piazza del Popolo fossero a disposizione del primo arrivato a prezzi irrisori o comunque bassi, consentendo ampi margini di guadagno.
Il tutto però è scaturito da un errore di calcolo o di stima. Roma non è Valencia. E a Roma non ci sono le 20 mila bici di Parigi, quindi ovvio che non si siano intaccate le pessime abitudini di mobilità dei romani. Finalmente abbiamo appurato empiricamente che il bike-sharing a Roma è stato un grande casino, non è servito a nulla, non ha migliorato la mobilità dolce né la qualità dell'aria, ed è servito, se vogliamo essere generosi, a qualche volenteroso turista di passaggio.
Ieri, sul Corriere della Sera, in Cronaca di Roma, è apparsa la desolante foto di una postazione deserta alle 14 di un giorno lavorativo. Probabilmente molte bici sono state tolte per evitare furti.

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